Incipit / PA-PE
Le frasi iniziali della letteratura di ogni tempo e paese.

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Arto Paasilinna (1942-2018)

Elämä lyhyt, Rytkönen pytkä (Lo smemorato di Tapiola)
La Finlandia intera entrava nella stagione estiva. Le acque si erano liberate, gli umani risvegliati. Il sole splendeva raggiante, una brezza leggera turbinava nell'aria. Dalle parti di Lestijärvi, in campagna, una madre di famiglia sfornava brioche alla cannella, a Kokkola, sulla costa, un automobilista ubriaco provocava un incidente mortale. Insomma, era cominciata l'estate.
Quel mattino Seppo Sorjonen, taxista dipendente, aveva accompagnato un cliente dal centro di Helsinki a Otaniemi. Si sentiva sudaticcio, la macchina era ancora impregnata dell'odore delle corse notturne.

(Traduzione: Helina Kangas e Antonio Maiorca)

Hurmaava joukkoitsemurha (Piccoli suicidi tra amici)
Il più formidabile nemico dei finlandesi è la malinconia, l’introversione, una sconfinata apatia. Un senso di gravezza aleggia su questo popolo sfortunato, tenendolo da migliaia di anni sotto il suo giogo, tingendone lo spirito di cupa seriosità. Il peso dell’afflizione è tale da indurre parecchi finlandesi a vedere nella morte l’unico sollievo. La malinconia è un avversario più spietato dell’Unione Sovietica.
Ma i finlandesi sono al tempo stesso un popolo combattivo. Non cedono mai. Si ribellano a ogni occasione contro il tiranno.

(Traduzione: Maria Antonietta Iannella e Nicola Rainò)

Jäniksen vuosi (L'anno della lepre)
Sull'automobile viaggiavano due uomini depressi. Il sole al tramonto, battendo sul parabrezza polveroso, infastidiva i loro occhi. Era l'estate di san Giovanni. Lungo la strada sterrata il paesaggio finlandese scorreva sotto il loro sguardo stanco, ma nessuno dei due prestava la minima attenzione alla bellezza della sera.
Erano un giornalista e un fotografo in viaggio di lavoro, due persone ciniche, infelici. Prossimi alla quarantina, erano oramai lontani dalle illusioni e dai sogni della gioventù, che non erano mai riusciti a realizzare. Sposati, delusi, traditi, entrambi con un inizio d'ulcera e una quotidiana razione di problemi di ogni genere con cui fare i conti.

(Traduzione: Ernesto Boella)

Kymmenen riivinrautaa (Le dieci donne del Cavaliere)
La morte arriva sbuffando come una mostruosa locomotiva a vapore e stritola chiunque si trovi sul passaggio, nessuno sfugge a quella sciagura. Ogni spoglia mortale presto o tardi finirà sul vagone per l'oltretomba, per quanto l'orario possa variare. Ma prima di quell'ultimo viaggio, arriva la vecchiaia, e prima ancora la mezza età e il giorno in cui si compiono i sessant'anni. A quel punto ogni essere umano, in particolare gli uomini, dovrebbe rassegnarsi ad aspettare la partenza del treno, mettere giudizio, darsi una calmata, ma certi proprio non lo fanno.
(Traduzione: Marcello Ganassini)

Maailman paras kyla (L'allegra apocalisse)
Il grande bruciachiese Asser Toropainen si preparava al trapasso. Era la settimana di Pasqua, la vigilia del Venerdì santo.
Asser aveva da poco compiuto gli ottantanove anni, e aveva l'aria di uno che ai novanta non ci sarebbe arrivato. Non c'è niente da fare, la morte finisce per abbattere anche i tronchi più solidi.
Il vecchio giaceva nella grande sala centrale della sua fattoria di legno ingrigito, nella frazione di Kalmonmaki, in mezzo alle foreste del Sud del Kainuu. Una vecchia pendola ticchettava nella cassa di betulla temprata, scandendo gli ultimi istanti del suo proprietario.

(Traduzione: Nicola Rainò)

Ulvova mylläri (Il mugnaio urlante)
Poco dopo le guerre, arrivò nel comune un uomo molto alto che disse di chiamarsi Gunnar Huttunen. Contrariamente a quasi tutti i vagabondi venuti dal Sud, non andò a chiedere lavori di spalatura all'Amministrazione delle Acque, ma comprò il vecchio mulino della Rapide della Foce, sulla riva del Kemijoki. L'operazione fu giudicata folle, dato che il mulino era rimasto inutilizzato fin dagli anni '30 ed era in pessime condizioni.
Huttunen lo pagò e s'installò nel locale adibito ad alloggio. I contadini del vicinato e in particolare i soci della cooperativa molitoria risero a crepapelle di quell'affare. Dicevano che evidentemente la razza dei matti non si era ancora estinta, nonostante la guerra ne avesse fatti fuori parecchi.

(Traduzione: Ernesto Boella

Ukkosenjumalan poika (Il figlio del dio Tuono)
L'agricoltore-antiquario Sampsa Ronkainen s'incamminò per il vialetto di betulle della sua proprietà fino alla cassetta delle lettere che si trovava a un buon centinaio di metri dall'edificio principale, ai bordi della strada. San Giovanni era ormai alle spalle, le lettere spedite prima delle feste dovevano con tutta probabilità essere arrivate.
Il maniero di Ronkaila, nel villaggio di Pentele, comune di Suntio, non era in realtà che una vecchia dimora familiare, costituita da una grande villa semidiroccata e una casa più recente che, con il rustico dove alloggiavano un tempo i garzoni e la stalla di pietra, formavano un cortile, sul retro. Lì, un tempo, era stato piantato un giardino, tornato ormai allo stato selvaggio.

(Traduzione: Ernesto Boella


Leopoldo Paciscopi (1925-2018)

Gli anni discontinui
Da bambino, quando durante la stagione buona ci andavo di domenica, portato da mio padre, a prendere il gelato o la panna coi cialdoni, piazza Vittorio mi sembrava un gran luna-park per gente adulta, con tutto quello sfarzo di tavolini ben disposti, torno torno come i cavalli delle giostre, e i camerieri in divisa e le musiche e i canti offerti a noi clienti del Paszkosski. Dalla via che veniva dal Duomo e dalle altre che a non molta distanza finivano al Ponte Vecchio e al Ponte a Santa Trinita, arrivavano cavalli veri, quasi sempre con passo tranquillo, alle stanghe di carrozze coi fiaccherai a cassetta. C’era un mescolarsi di suoni che non riuscivano quasi mai a trasformarsi in rumori: i ferri dei cavalli battevano la strada con le cadenze dei soldatini meccanici visti in un film di Stanlio e Ollio, e i tram sfrigolavano su un angolo di rotaia chiedendo il passaggio libero con un giulivo scampanellare.

Ardengo negli anni discontinui
Fra gli undici e i sedici anni mi ero costruito un’amicizia, nel paese dove ero andato a vivere con i nonni paterni in attesa del ritorno alle strade, ai caffè e alla gente della mia città della quale serbavo una costante nostalgia.

Una bella carriera
Non ricordo se la cosa accadde nel dicembre del 1941 o nel febbraio del 1942. Di certo quell’inverno fiorentino era rigido, perché lo dicevano tutti, ma io avevo sedici anni e mi bastava, a ripararmi dal freddo, la roba che avevo addosso: i pantaloni alla zuava di lana spessa e un po’ ruvida, un maglione girocollo e un impermeabile di gabardina segnato al braccio sinistro da una traccia di inchiostro stilografico.

In Lapponia
Il sole è una palla di latte e la terra se ne nutre. La attira a sé e se la lascia scivolare addosso, sulle pendici del Luossavaara, giù giù fino alle rive del Luossajarvi; se ne imbeve in un attimo, brulla e gelata com’è, e si scolora. Sembra che debbano calare le tenebre (manca un quarto d’ora alla mezzanotte e una fetta di sole è affondata all’orizzonte), invece il cielo si rifà subito chiaro e la palla riprende a salire. Mezzanotte di luce a Kiruna, a nord del circolo polare artico. Qualcuno ha detto che oltre questa strana città c’è la fine del mondo e verrebbe da pensare che sia vero se neppure il sole riesce a valicarne i confini.

Nel chiaror della luna
Quando stava per tornare a terra, zio Antonino, capitano di lunghe traversate, faceva tirar fuori dalla cambusa un paio di fette di mosciame e se le mangiava coi cetrioli o, quando era possibile, coi pomodori. Il mosciame era filetto di delfino messo a seccare al sole. Tutti erano convinti che fosse un infallibile afrodisiaco (“Ogni fetta, quattro scopate!”) e anche la ciurma se ne sarebbe volentieri cibata, ma costava troppo per un povero marinaio.


Leonardo Padura Fuentes (1955)

Paisaje de otoño (Paesaggio d'autunno)
"Ti decidi o no, cazzo..." urlò alla fine verso un cielo che gli sembrò limpido e tranquillo, ancora dipinto con l'ingannevole tavolozza blu del mese di ottobre; lo gridò con le braccia aperte a croce, il petto nudo, cacciò fuori il reclamo disperato con tutta la forza dei polmoni, per liberare la voce e anche per verificare di avercela ancora, una voce, dopo che per tre giorni non aveva aperto bocca. La gola, lacerata dalle sigarette e dagli eccessi alcolici, sentì alla fine il sollievo del parto, e il suo spirito godette di quell'insignificante atto liberatorio, capace di risvegliargli un'effervescenza interiore che lo portò sull'orlo di un secondo grido.
(Traduzione: Roberta Bovaia)


Tosca Pagliari (19??)

Le foto salvate
Anche le case hanno un'anima e dei sentimenti assorbiti da tutti i loro abitanti, in special modo se di diverse generazioni.
Che pena! Com'era affranta per l' umiliazione subita quella casa in catene! Attorniata da campi aridi, se ne stava lì umida e sbiadita, quasi cadente. Come se fosse stata punita per aver rinchiuso echi garruli di bimbi, sospiri adolescenziali, sussurri di segreti, canti di gioventù, pianti disperati, alterchi sostenuti, grida di rabbia e spettrali silenzi.
Punita per aver lasciato che lì dentro si corresse, si amasse, ci si affaccendasse, ci si riposasse, a volte, anche per sempre. Tutto questo adesso lo doveva scontare, muta nella sua prigionia.
Nessuna anima viva poteva entrarvi, nessun fantasma uscirne.
Nessuna bimba poteva oltrepassare il cancello grande e correre lungo la discesa. La casa così rinserrata da sigilli e lucchetti non poteva più invitarla per lasciarsi percorrere, frugare, odorare, amare. Di tutto era stata svuotata, ma nella fessura segreta del sottoscala era rimasto quel che la bimba aveva nascosto, quel che la donna lì fuori non ricordava più d'aver fatto.


Marcel Pagnol (1895-1974)

Le château de ma mère (Il castello di mia madre)
L'epopea cinegetica delle coturnici mi valse la promozione a cacciatore, però in qualità di battitore e cane da riporto. Ogni mattina, verso le quattro, mio padre apriva la porta di camera mia e sussurrava:"Vuoi venire?"
Quelle poche parole sussurrate da lui bastavano a tirarmi giù dal letto, nonostante il mio sonno fosse a prova sia del ronfare dello zio Jules, sia degli strilli del cugino Pierre, che reclamava il biberon delle due.
Mi vestivo in silenzio, al buio, per non svegliare il piccolo Paul, e scendevo in cucina dove, gli occhi gonfi e l'aria un po' stravolta degli adulti appena svegli, zio Jules scaldava il caffè. Mio padre intanto riempiva i carnieri, ed io le cartucciere.

(Traduzione: Marco Cavalli, Patrizia Coia, Geneviève Dinomais)

L'eau des collines: Jean de Florette (L'acqua delle colline: Jean de Florette)
Le Bastides Blanches erano una parrocchia di centocinquanta anime, appollaiata sullo sprone di uno degli ultimi contrafforti dl massiccio dell'Etoile, a due leghe da Aubagne. Ci si arrivava per una strada in terra battuta, talmente ripida che da lontano pareva verticale; ma quando poi sbucava da dietro le colline, si riduceva ad una vera e propria mulattiera, da cui si diramavano alcuni sentieri che portavano in cielo.
Una cinquantina di case, che di bianco portavano ormai solo il nome, fiancheggiavano cinque o sei strade senza marciapiede e non asfaltate; strade strette, per difendersi dal sole, tortuose per via del maestrale.
C'era comunque uno spiazzo abbastanza lungo che dominava la valle a ponente; era sostenuto da un terrapieno di pietre tagliate alto ben dieci metri, e che terminava a parapetto sotto una fila di platani vecchissimi: lo chiamavano il Boulevard, e i vecchi ci si andavano a sedere all'ombra a chiacchierare.

(Traduzione: Claudio Galderisi)

L'eau des collines: Manon des sources (L'acqua delle colline: Manon delle sorgenti)
Appena ricevuta la grande notizia, Attilio non esitò un secondo, e venne da Antibes per dirigere di persona i primi lavori.
Arrivò su un fiammeggiante ciclomotore a petrolio che sparava colpi di fucile lasciando dietro una lunga scia blu.
Era alto, largo di spalle, e bello come un principe romano. Parlava un dialettaccio quasi incomprensibile, e un francese accettabile, ma che utilizzava spesso due aggettivi sovrapposti.
Si fece il segno della croce dinnanzi alla sorgente, rimirandola a lungo, quindi disse:
- È bella limpida -.
Ne bevve poi un bicchiere, con l'attenzione di un degustatore, e affermò:
- È buona fresca -
Poi, con l'orologio e un secchio, fece diversi esperimenti, e alla fine disse:
- Hai almeno quaranta metri al giorno. Quelli cubi!... A noi altri, a Antibes, ci verrebbe a costare tremila franchi all'anno! Per una piantagione di due operai, ce n'hai tre volte di troppo!
Ugolin e il Papet si guardavano ridendo di piacere. Poi, andarono a fare una passeggiata nel campo. Ugolin diede un colpo di zappa, Attilio frantumò nel palmo della mano una zolletta, la osservò, l'annusò.

(Traduzione: Claudio Galderisi)

La gloire de mon père
Je suis né dans la ville d'Aubagne, sous le Garlaban couronné de chèvres, au temps des derniers chevriers.
Garlaban, c'est un énorme tour de roches bleues, plantée au bord du Plan de l'Aigle, cet immense plateau rocheux qui domine la vallée de l'Huveaune.
La tour est un peu plus large que haute: mais comme elle sort du rocher à six cents mètres d'altitude, elle monte très haute dans le ciel de Provence, et parfois une nuage blanc du mois de juillet vient s'y reposer un moment.
La gloria di mio padre
Sono nato nella città di Aubagne, ai piedi del Garlaban cinto di capre, all'epoca degli ultimi caprai.
Il Garlaban è una gigantesca torre di rocce azzurre conficcata sul margine estremo del Plan de l'Aigle, immensa piattaforma rocciosa che domina la verde vallata dell'Huveaune.
La torre è poco più larga che alta, ma siccome sbuca dalla roccia a seicento metri di altitudine, si arrampica molto in alto nel cielo della Provenza, e a volte una nuvola bianca di luglio viene a riposarvisi sopra un istante.

(Traduzione: Marco Cavalli)


Barry Pain (1864-1928)

An Exchange of Souls
I met Daniel Myas first in the winter of 1905, at Hamilton's house, in Paris. Hamilton married a Frenchwoman, and they lived in Paris for the greater part of the year. They were both terribly musical, and musicians of many nationalities came to the house. Conversation, on the days when Madame received, was tryingly polyglot for a Plain Englishman like myself.
As often happens at a first meeting, one received an impression which was in part erroneous and in part short of the truth. Until he spoke to me, I thought that Myas was a Frenchman. His necktie was aggressively French. It was bulgy and droopy and black Silk He used a little gesture. He had been speaking French to my hostess, and with a perfection that in an Englishman was almost unpatriotic. But he spoke English to me, and as only an Englishman can ever hope to speak it.
Uno scambio di anime: storia dell’uomo che si trasferì nel corpo dell’amata.
Ho incontrato Daniel Myas per la prima volta nell'inverno del 1905, casa di Hamilton, a Parigi. Hamilton aveva sposato una francese, vivevano a Parigi per la maggior parte dell'anno. Erano entrambi patiti della musica e musicisti di varie nazionalità venivano a trovarli a casa. La conversazione, nei giorni in cui la signora riceveva, era insopportabilmente poliglotta per un inglese semplice come me.
Come spesso accade in un primo incontro, quella che si ha un'impressione in parte errata e in parte veritiera. Mentre mi parlava, pensavo che Myas fosse un francese. La sua cravatta era aggressivamente francese. Era di seta nera, gonfia e floscia. Si avvaleva di una certa mimica. Parlava in francese con la padrona di casa, e con una perfezione che in un inglese suona quasi antipatriottica. Ma con me parlava inglese, e solo come un inglese può mai sperare di parlare.

(Traduzione: Vittorio Fincati)


Chuck Palahniuk (1961)

Choke
If you are going to read this, don't bother.
After a couple pages, you won't want to be here. So forget it. Go away. Get out while you're still in one piece.
Save yourself.
There has to be something better on television. Or since you have so much time on your hands, maybe you could take a night course. Become a doctor. You could make something out of yourself. Treat yourself to a dinner out. Color your hair.
You're not getting any younger.
What happens here is first going to piss you off. After that it just gets worse and worse.
Soffocare
Se stai per metterti a leggere, evita.
Tra un paio di pagine vorrai essere da un'altra parte. Perciò lascia perdere. Vattene. Sparisci, finché sei ancora intero.
Salvati.
Ci sarà pure qualcosa di meglio alla tv. Oppure, se proprio hai del tempo da buttare, che so, potresti iscriverti a un corso serale. Diventare un dottore. Così magari riesci a tirare su due soldi. Ti regali una cena fuori. Ti tingi i capelli.
Tanto, ringiovanire non ringiovanisci.
Quello che succede qui all'inizio ti farà incazzare. E poi sarà sempre peggio.

(Traduzione: Matteo Colombo)

Fight Club
Tyler gets me a job as a waiter, after that Tyler's pushing a gun in my mouth and saying, the first step to eternal life is you have to die. For a long time though, Tyler and I were best friends. People are always asking, did I know about Tyler Durden.
Fight Club
Tyler mi trova un posto da cameriere, dopodiché c'è Tyler che mi caccia una pistola in bocca e mi dice che il primo passo per la vita eterna è che devi morire. Per molto tempo però io e Tyler siamo stati culo e camicia. La gente sempre a chiedermi se sapevo o no di Tyler Durden.

(Traduzione: Tullio Dobner)


Enrico Palandri (1956)

I fratelli minori
Aspettavano la pioggia da mesi. L'aspettavano i contadini, preoccupati per i raccolti, e i responsabili del sistema di approvvigionamento idrico, che vedevano calare le riserve disponibili ai bisogni della popolazione, dell'agricoltura e dell'industria. L'aspettavano gli innamorati, che sentivano seccarsi nell'anima la parola, e gli automobilisti pigri che rimandavano il lavaggio della macchina a un temporale e trovavano ogni giorno sulla carrozzeria nuovi disegni fatti con le dita dai ragazzi.


Aldo Palazzeschi (Aldo Giurlani) (1885-1974)

Il doge
Nelle prime ore della mattina e dai punti strategici della città, gli altoparlanti annunziarono che alle dodici precise alla Loggia del Palazzo Ducale si sarebbe affacciato il Doge.
L'annunzio in questi termini circoscritto, non aggiungeva né accennava minimamente alle ragioni né il perché di un tale avvenimento che non produsse nei veneziani sorpresa alcuna ma solo una ridda di supposizioni immagini e commenti, voci discordi su quello che il Doge in tale circostanza avrebbe esposto, come si sarebbe comportato.

I fratelli Cuccoli
Il signor Celestino Cuccoli compiva quel giorno il cinquantesimo anno di età. Una mattina di Gennaio umida e fredda, cruda, ventosa, una di quelle mattine nelle quali si rincantuccia il cuore nel petto e non viene spontaneo di alzar la testa verso il cielo. L'acqua cadeva saltuariamente consolidata in piccoli cristalli che il vento faceva picchiettare contro i vetri delle finestre comunicandone il brivido.

Sorelle Materassi
Per coloro che non conoscono Firenze o la conoscono poco, alla sfuggita e di passaggio, dirò com'ella sia una città molto graziosa e bella circondata strettamente da colline armoniosissime. Questo strettamente non lasci supporre che il povero cittadino debba rizzare il naso per vedere il cielo come di fondo a un pozzo, bene il contrario, e vi aggiungerò un dolcemente che mi pare tanto appropriato, giacché le colline vi scendono digradando, dalle piú alte che si chiamano monti addirittura e si avvicinano ai mille metri d'altezza, fino a quelle lievi e bizzarre di cento metri o cinquanta. Dirò anzi che da un lato soltanto e per un tratto breve, la collina rasentando la città la sovrasta a picco, formandoci un verone al quale con impareggiabile gusto ci possiamo affacciare.

Stampe dell'800
Viveva la mia famiglia in una vecchia casa fiorentina d'Oltrarno. Queste case un po' tetre se le guardi di fuori, dalle finestre magnifiche nella nudità, che appena ti lasciano scorgere la testa di chi vi resti affacciato. Le porte si aprono maestose nelle mura massicce, alla cui soglia diresti che il mendico non vi aspetti un obolo indifferente; la servetta vi parla sommesso se si ferma un istante, timorosa che l'ingresso ampio e disadorno troppo ingigantisca il suo squittire; e il monello che vi getta un grido fuggendo, sembra impaurito della sua stessa voce.

Il punto nero
In un pubblico locale incontravo molti anni fa un vecchio signore, persona della massima correttezza e cortesia che osservava fino allo scrupolo le forme, e del quale non conobbi mai il nome perché in quel ritrovo tutti lo chiamavano "il commendatore". Per un ghiribizzo del caso egli era all'oscuro di questa mia ignoranza ché, altrimenti, avrebbe fatto subito e in piena regola un'autopresentazione riparatrice; né io, chi sa perché, ebbi mai la curiosità di saperne il nome, forse pensando che quel titolo onorifico rappresentasse la più esauriente delle conoscenze e mancanza di rispetto il domandare oltre: una fatica inutile.

Legami ignoti
Per dimostrare quanto vi sia di misterioso ed imprevisto nella natura dell'uomo e come la causa minima possa produrre sorprendente effetto, racconterò un fatterello di nessuna importanza ma certamente significativo, avvenuto al signor Severino vecchio scapolo e funzionario a riposo.
All'età di sessantatré anni capitò al detto signore un caso nuovo. Trovandosi leggermente indisposto e sentendosi in bocca un grosso sputo, gli venne fatto d'affacciarsi alla finestra del suo quinto piano per scaricarsene nella via.

Il ladro
Sorprese, Guido, il gesto rapido di nascondere, e mi fu addosso incuriosito; né so perché mi venne fatto tanto naturale di nascondere quell'oggetto che a caso mi era capitato fra le mani: forse per risparmiare questa spiegazione, che, del resto, neppure so spiegare il perché, a nessuno avevo mai dato.

Fammi vedere, va là, sii buono, fammi vedere...
Ma nulla, nulla, non è nulla.
Sì, qualcosa hai nascosto, una roba nera, ho visto una roba nera: una calza! È una calza, di' la verità.
Macché calza.
Sono le calze di una tua ex amante.
Macché amante.

Dagobert
Miss Violet Hiss ebbe il privilegio di ricevere il grande annunzio: dopo trent'anni di assenza, mistress Theodora Broock sarebbe ritornata dall'Egitto alla sua villa di Marignolle sulle colline di Firenze.
Alzando il viso dal biglietto miss Violet Hiss sembrava pensare: mistress Theodora Broock sarebbe ritornata con Dagobert. Dagobert era il marito di mistress Theodora Broock da dieci anni defunto.
Questa notizia nell'animo della signorina inglese non produsse stupore alcuno ma il più legittimo compiacimento, e il suo pensiero era in ragione di esso.

Bistino e il signor Marchese
- Nunzia... sai Nunzia... ho visto il signor marchese.
"Ah!" rispondeva la Nunzia senza voltarsi dal camino dov'era tesa a dar gli ultimi tocchi per il pranzo o la cena: e mentre una tavolina bianca, linda e lucente, apparecchiata davanti alla finestra aperta sul piccolo orto, aspettava con le braccia aperte i due commensali. La donna non dimostrava curiosità per quell'incontro, ma talora aggiungeva più condiscendente:"che ti ha detto? che fa?" strascicando le parole in tono da non desiderare troppo certe notizie né di prestarsi a lungo per ascoltarle.

Madame Bouché
Avevo conosciuto monsieur Bouché per mezzo di un amico col quale veniva nel piccolo restaurant al centro di Parigi dove talvolta mangiavo anch'io, una di quelle conoscenze che nemmeno impegnano al saluto incontrandosi in altro luogo, se un fatto di nessuna importanza non fosse intervenuto ad attirare la mia curiosità su tal soggetto.
M'ero accorto che monsieur Bouché sceglieva invariabilmente lingua di bue per piatto, e dichiaratogli come tale consuetudine mi avesse colpito giacché io non sceglievo mai quella vivanda che produceva un'inspiegabile sensazione nel mio animo, rispose che lui si trovava esattamente nel caso opposto, la lingua era la cosa che del bue potesse mangiare a cuor leggero essendo la sola parte del corpo di cui non si fosse servito per l'uso principale che appare all'uomo giacché il Signore, dopo avergli creata la lingua, non gli aveva concesso facoltà di parlare, e che per mangiare di quell'adorabile animale una costola o un pezzo di lombata come facevo io ogni giorno, doveva vincere una vaga e inafferrabile resistenza su se medesimo.

Il gobbo
Quando natura licenzia dalle sue fucine un gobbo, pensate certo ch'ella si dia una grattatine alla testa che altro non vuole significare:"guarda un po' che cosa ho fatto! Quello che m'è successo! Che frittata!". E credete altresì che rivolta alla propria creatura aggiunga sollecita:"perdona sai, piccolo essere innocente, è accaduto senza che me ne accorgessi, è stato un errore, una disgrazia, non volevo farti così, poverino, ti domando scusa".
Niente di tutto ciò.

Amore
Può capitare ad un uomo cosa più mancina dell'accorgersi a sessant'anni di avere sbagliato la vita? Di averla mancata? Perduta ogni speranza? Come per un velo che cade, e che sempre gliene aveva vietata la vista, una via bellissima, luminosa, infinita, gli s'apre davanti; sulla quale non ha mosso il piede, e sente al tempo stesso che è tardi per farlo. E badate che questo istante rivelatore, del passato errore e della verità, può capitare alla suddetta persona nella maniera più semplice e bizzarra, è un lampo, una scintilla che scaturisce non si sa come e non si sa da che, magari guardando fuori attraverso il vetro di una finestra io sopra un terrazzino dal quale ciondolano con acrobatica grazia ciocchettine di geranio rosa, e vi stanno ritte, impettite, vezzose margheritine.

La signora dal ventaglio
Per tre notti consecutive durante il plenilunio d'agosto, fu vista sulla cima del Colosseo la figura di una signora coperta per la massima parte da un gran ventaglio rosso.
Le luci del basso, e i riflettori, mettevano in evidenza la grandezza e il colore acceso del ventaglio mentre dall'alto il chiarore lunare, neutralizzandosi in quelle luci, ne adombrava il copro che nessuno riuscì a distinguere.
La terza notte due agenti di polizia salirono a corsa sul Colosseo per rendersi conto di tale presenza e attingere informazioni presso la detta signora sulle sue predilezioni notturne. Mentre salivano col fiato grosso, la signora era scomparsa né fu più possibile rintracciarla.

Lumachino
Michele, Michelino, Michelaccio... Lumachino. Ecco la genesi del suo nome. Michele, nome molliccio, non era bastato, e non erano bastati nemmeno i suoi diminutivi, s'era dovuti andare fino alle bestie, e quali: i molluschi. Forse si sarebbe potuti arrivare un po' più in là. Era l'uomo più brutto del paese: non tutti i paesi hanno il privilegio di possederne uno brutto altrettanto. Era il gerente delle Poste, rimasto solo a quell'ufficio ereditato da padre e madre morti giovani, tisico l'uno, e l'altra di un tumore maligno: era il prodotto di due orribili malattie.

Il re bello
- Sua Maestà la Regina attende.
Il conte Ercole Pagano Silf, Gran Maresciallo di Birònia, pronunziate queste parole rimase fermo nel mezzo della sala sotto l'immensa, scintillante lumiera di Venezia, considerando la persona del Re.
Ludovico XII, re di Birònia, alzatosi in piedi incominciò a camminare assalito da una palese agitazione, da un tremito nervoso. Andava e veniva davanti alla specchiera della consolle, acciuffandosi gli enormi baffi orizzontali, neri e ferrigni, fulminando sé stesso coi terribili occhi dilatati e rotondi, inarcando le spalle, spingendo avanti il petto robustissimo ed immenso, aggiustandosi la giubba azzurra gallonata d'oro. "Come a vent'anni" pensava Ludovico XII, "peggio assai che a vent'anni, mi sento oggi più impaziente e imbarazzato di allora".

Il ricordo della moglie
Un fatto di relativa importanza ma di sapore allettante, avvenuto poco tempo addietro in questo paese, mi spinge a considerazioni d'ordine generale che mi accingo ad esporvi per la loro amenità.
Posso affermare per esperienza che qualsiasi cambiamento produce nei paesi un effetto sproporzionato alle cause; effetto che, per quanto elevato possa essere, è destinato ad esaurirsi dove nasce, non solo, ma a non lasciarvi tracce feconde anche se durature. Questo, perché possiate anticipare nei riguardi della sua reale consistenza. E si capisce: laddove le cose cambiano di rado, il loro eventuale cambiarsi produce gran fracasso. Bisogna tra profitto dall'occasione favorevole che si fa troppo aspettare.

La zia Fanni
Fra le molte specialità che ogni secolo fa sue, sono comprese le malattie. Ma siamo ben lontani dall'occuparci di quelle del secolo corrente nel quale pensiamo soltanto alla salute, a goderne per cent'anni in allegria finché possibile, lasciando ai posteri tale incombenza. Possiamo invece occuparci di quelle dei secoli passati perché estinte con tutte le altre mode e i loro bacilli catalogati sulle vetrine dei musei fra tante cose buffe. Specialità dell'ottocento in tal materia fu il mal sottile. Se dovessimo giudicarlo da romanzi, drammi, melodrammi e poesie, dovremmo definirlo un tisicume. Non vi fu famiglia che di tale fenomeno non possedesse un degno esemplare, senza di che le famiglie non si sarebbero sentite complete, sarebbe mancato il colore del tempo nelle case, e molte ve ne furono che ne fecero una collezione.

Lo zio e il nipote
Scrivere che il signor Luigi aveva una bottega di Santi è cosa che dà alla penna inesplicabile incertezza nello scriverla: eppure è proprio così, il signor Luigi aveva veramente una bottega di Santi. Santi e santini, le piccole immagini che si dispensano nelle chiese durante la questua o nei giorni di solennità, riproducenti le sacre e venerate figure nei momenti della loro vita terrena più generalmente noti e cari al popolo; e quelle grandi da appendersi dentro una bella cornice e sottovetro, a capo del letto o sul cassettone; libri religiosi e libricini, la dottrina, il catechismo, la Santa Messa, il vecchio e il Nuovo Testamento: il Vangelo. Gli oggettini di ricordo per la cresima e la prima comunione, le pile per l'acqua benedetta; rosari e rosmarini, croci e crocelline, medaglie e medagliette... e non candele.


Chiara Palazzolo (1961-2012)

Nel bosco di Aus
CARLA CORRI!
Adesso si sveglierà. Adesso si sveglia. Si sveglia sempre in quel punto. Nel momento in cui capisce di non avere scampo, si sveglia. È terribile, spaventoso, angosciante ma oramai ci ha fatto l'abitudine. Perfino in sogno se ne ricorda. Che adesso si sveglia. Urlando e smaniando. Davanti allo sguardo preoccupato di Giovanni. O a quello stupito di Albertino - mamma? E le ombre del bosco spariscono, fugate dalla luce della lampada, sul comodino.

Non mi uccidere
Un vento gelido spazzava i viali, torcendo le chiome leggere dei platani. Sotto il cielo gravido di nubi di pioggia, una ventina di persone si assiepavano intorno alle bare. Le lapidi erano già state incise. Le fosse scavate al mattino. Il sacerdote fece un segno di croce su ciascuna bara. Mormorò alla svelta una preghiera, nel silenzio generale. Non era più tempo di prediche. E nell'omelia della sera precedente, ai funerali, aveva già detto tutto quello che c'era da dire.

Strappami il cuore
Il viale che dall'autorimessa conduceva all'ingresso di servizio era una sinfonia di ciliegi in fiore. Mentre abbassava la saracinesca, Piero Fossati se ne accorse all'improvviso. La primavera era esplosa. E nella brezza che soffiava da ponente si avvertiva addirittura un refolo d'estate. D'erba appena spuntata. Di terra stordita dal sole.

Ti porterò nel sangue
L'antivigilia di Natale, e il traffico era impazzito. Il taxi era rimasto bloccato sul Muro Torto per circa un millennio, secondo i calcoli del ragazzo. E adesso che avevano raggiunto il centro la situazione era ancora peggiorata. Via del Corso, ingorgata da un fiume di gente, risplendeva di luci. Vetrine. Fari d'automobile. Riflettendo pozze di luce aranciata sull'asfalto, ludico della pioggerella caduta nel pomeriggio.


Rosario Palazzolo (1972)

La vita schifa
Quando sono morto io si fece festa, una festa stramba e inutile, ridicola come le cose ridicole, una festa che ognuno se ne stava a casa sua a gioire in silenzio, una festa senza brindo, senza mani strette e sorrisi aperti, una festa muta, una festa che se mettiamo uno passava di là non se ne accorgeva che c’era questa festa, era una festa cacchia, una festa senza cerimonie, una festa guasta, e qui, ora, nel mentre che il lenzuolo mi fa prurito sul collo, ragiono su questo fatto della festa e m’incazzo preciso, ripenso alla faccia di mia madre, alla sua faccia che sorride al fruttivendolo con un sorriso orgoglioso, me la vedo che trasporta certe borse piene di fave e nel mentre fa dei cenni di saluto a chiunque, un cala e alza senza criterio, come certi pupi con la testa a molla, poi mi figuro a mio fratello, me lo figuro che cammina spavaldo al centro della strada, che ci cammina come se quella strada fosse sua, strascina i piedi che la gente se lo deve guardare per forza, e per ultimo mi figuro a me, a me giacca e cravatta, fermo immobile, con dei gladioli fra le mani, a me che sono morto un anno oggi, vorrei ricoprirmi col lenzuolo, nascondermi dentro a questo lenzuolo, tra-mutarmi in una roba, ma resto fermo, decido di fissarmi sul ronzio, è un trucco che mi invento da sempre, questo, che se una cosa mi scassa troppo la minchia io la ignoro, il ronzio è il ronzio di una manopola della radio che gira, che ogni tanto si ferma su una stazione,
Se stiamo insieme ci sarà un perché


Alberto Paleari (1949)

L'angelo che scese a piedi dal Monte Rosa
Nella lingua tedesca dei Walser (il titschu), Alagna si chiamava “Im Land”, cioè “Il Paese”, alla fine del Cinquecento disseminava le sue poche case di legno all'ombra del Monte Rosa, alla quota di milleduecento metri sui prati sassosi della testata della Valsesia.
Per la fiera di San Michele, che si teneva il 29 settembre nella vicina Ripa di Pietre Gemelle (Prismell), nel 1578 era già caduto mezzo metro di neve, dall'inizio del secolo i ghiacciai del Rosa avevano cominciato ad avanzare, spostando le vecchie morene che erano franate su pascoli accuditi da generazioni di coloni, poi anche le frane furono coperte dai ghiacci, le lingue glaciali ostruirono il corso dei torrenti, si crearono laghi che strariparono, le frazioni più alte vennero trascinate via dal fango, dove prima pascolavano le greggi si insediarono le pietraie e al posto dell'erba profumata e grassa crebbero cardi spinosi e ontani flagellati dalle valanghe.


Piersandro Pallavicini (1962)

Atomico dandy
Sono nel corridoio del dipartimento e, pigro, cammino verso l'ascensore. Ho tra le mani la lettera del "Journal of the American Chemical Society": quello che tutti - per così dire confidenzialmente - chiamiamo JACS. La soppeso, valuto che contenga tre o quattro fogli A4 ripiegati. Ricordando la data in cui abbiamo spedito il nostro articolo alla redazione, mi dico che con ogni probabilità questa lettera contiene la risposta. Una pagina dell'editore, e una pagina ciascuno per il giudizio dei due referee. Mi fermo alla macchina delle bevande calde, infilo 0,40 euro, faccio scendere un caffè. Mentre aspetto che sia pronto mi dico anche che gli ultimi sette lavori ce li hanno accettati con i due referee che si prodigavano in complimenti, e che dunque non dovrei aspettarmi alcuna brutta sorpresa.

Il mostro di Vigevano
Giacché Marcella resterà fuori per l'intera serata (segue Heimat 2, in un cineforum del centro), decido di approfittare della solitudine per visionare un nastro in tutta tranquillità.
Prima dispongo una salvietta sul divano, sulla quale potrò sedermi senza rischio di sporcare.
Quindi mi munisco di olio minerale e di carta scottex (un rotolo intero).
Infine, scelgo la cassetta studiando con cura la lista della mia collezione. Aggiornatissima, l'ho stampata oggi stesso, prima di rientrare dall'università.

Romanzo per signora
Siamo a pochi chilometri da Ventimiglia. Marciamo in autostrada oltre il limite di velocità. È aprile, quasi mezzogiorno, il sole è alto nel cielo. Ho settantatré anni. Questo numero, settantatré, mi attraversa i pensieri in un lampo accecante. Come ogni giorno, come ogni ora. Ma in questo tratto c'è traffico, sono in corsia di sorpasso, ci sono da controllare i camion, la distanza dal guardrail, gli abbaglianti dei falchi nel retrovisore. E l'altro numero, gli anni che ragionevolmente mi restano da vivere, per una volta riesco a tenerlo lontano.


Félix J. Palma (1968)

El mapa del cielo
A Herbert George Wells le hubiese gustado vivir en un mundo más justo y respetuoso, un mundo en el que existiera una especie de moral artistica que prohibiese explotar las ideas de otro en beneficio de uno mismo, y donde a los desalmados que se atreviesen a hacerlo se les secara de golpe su presumible talento, condenándoles a ganarse la vida a la ingrata manera de los hombres corrientes. Pero por desgracia el mundo que habitaba no era asi.
La mappa del cielo
A Herbert George Wells sarebbe piaciuto vivere in un mondo più giusto e rispettoso, un mondo nel quale esistesse una specie di morale artistica che proibisse di sfruttare le idee altrui a proprio vantaggio, e nel quale i malvagi che avessero avuto l'ardire di farlo avrebbero visto prosciugato di colpo il loro ipotetico talento, condannandoli a guadagnarsi da vivere all'ingrata maniera degli uomini comuni. Ma per disgrazia il mondo in cui abitava non era così.

(Traduzione: Pierpaolo Marchetti)

El mapa del tiempo
A Andrew Harrington le hubiese gustado poder morir más de una vez para no tener que escoger una única pistola entre las muchas que su padre atesoraba en las vitrinas del salón. Las decisiones nunca habían sido su fuerte. De hecho, mirada al trasluz, su existencia se revelaba como un cúmulo de elecciones erróneas, la última de las cuales amenazaba con proyectar su larga sombra sobre el futuro. Pero aquella vida de desatinos tan poco ejemplarizante estaba a punto de concluir. Esta vez creía haber elegido correctamente, pues había elegido dejar de elegir. Ya no habría más errores en el futuro porque ni siquiera habría futuro. Iba a desmantelarlo sin contemplaciones, apoyándose en la sien derecha una de aquellas armas. No parecía haber otra salida: aniquilar el futuro era el único modo a su alcance de exterminar el pasado.
La mappa del tempo
Andrew Harrington avrebbe voluto poter morire più di una volta per non dover scegliere un'unica pistola tra le molte che suo padre custodiva gelosamente nelle vetrinette del salone. Le decisioni non erano mai state il suo forte. Di fatto, vista in controluce, la sua esistenza si rivelava un cumulo di scelte sbagliate, l'ultima delle quali minacciava di proiettare la sua lunga ombra sul futuro. Ma quella vita di spropositi per nulla edificanti stava per concludersi. Questa volta credeva di aver scelto correttamente, perché aveva scelto di smettere di scegliere. Non ci sarebbero più stati errori in futuro perché non ci sarebbe stato futuro. L'avrebbe smantellato senza esitazioni, appoggiandosi alla tempia destra una di quelle armi. Non sembrava avere altra via d'uscita: azzerare il futuro era l'unico modo a sua disposizione per sterminare il passato.

(Traduzione: Pierpaolo Marchetti)


Stuart Palmer (1905-1968)

The Penguin Pool Murder (L'enigma della vasca dei pinguini)
I primi a scoprire il segreto furono due piccoli pinguini neri. Si agitarono enormemente, guizzando nell'acqua con i loro lucenti corpi bruni e salendo in superficie di tanto in tanto per strillare in galapaghese: "Assassinio, vile assassinio!". Ma per un po' la loro intensa eccitazione non riuscì a raggiungere il resto del mondo, oltre la barriera di vetro della vasca.
(Traduzione: Francesca Stignani)


Orhan Pamuk (1952)

Benim Adim Kirmizi (Il mio nome è rosso)
Adesso io sono un morto, un cadavere in fondo a un pozzo. Ho esalato l'ultimo respiro ormai da tempo, il mio cuore si è fermato, ma, a parte quel vigliacco del mio assassino, nessuno sa cosa mi sia successo. Lui, il disgraziato schifoso, per essere sicuro di avermi ucciso ha ascoltato il mio respiro, ha tastato il mio polso, mi ha dato un calcio nel fianco, mi ha portato al pozzo e mi ha preso in braccio per poi buttarmici dentro. La testa me l'aveva già spaccata a colpi di pietra, e cadendo nel pozzo è andata in pezzi, la mia faccia, la fronte e le guance, è rimasta schiacciata, è scomparsa, le ossa si sono spezzate, la bocca si è riempita di sangue.
(Traduzione: Marta Bertolini e Şemsa Gezgin)

Beyaz Kale (Roccalba)
Da Venezia viaggiavamo alla volta di Napoli, quando le navi turche si pararono dinnanzi a noi. Tre in tutto, le nostre, mentre le loro galere spuntavano di continuo dalla nebbia, ininterrotta teoria. Improvvisi, il panico e l'ansia dilagarono sulla nostra imbarcazione, mentre i rematori, turchi e mori per la maggior parte, lanciavano gridi di gioia: nervi tesi, logorati. Anche la nostra nave, come del resto le altre due, virò verso terra, a ponente, ma non fummo in grado di agire rapidi come gli altri. Timoroso di essere castigato nel caso lo avessero catturato, il nostro capitano non osava dare ordine di frustare forte gli schiavi ai remi. In seguito, a lungo rimuginai che tutta la mia vita era cambiata a causa della viltà del nostro capitano.(Traduzione: Giampiero Bellingeri)

Kara Kitap (Il libro nero)
Rüya dormiva a pancia in giù nel dolce tepore del buio, sotto la trapunta azzurra a quadri che copriva completamente il letto con il suo ondulato complesso di avvallamenti ombrosi e rilievi celestini. Nella stanza filtravano i primi rumori del mattino invernale: il passaggio di qualche sporadico carretto, di vecchi autobus, il venditore di salep, in combutta con il pasticciere, che faceva sbatacchiare i suoi orci di rame su e giù per il marciapiede, il fischietto del chiama-vetture alla fermata dei dolmus. Le tende blu scuro facevano da schermo alla luce plumbea che filtrava nella stanza. Galip, ancora pieno di sonno, studiò il viso della moglie che sporgeva dalla trapunta, il mento sepolto nel cuscino di piuma. Nella curva della fronte c'era qualcosa di surreale, tale da suscitare in lui un'ansiosa curiosità nei confronti degli eventi che avevano luogo dentro quella testa. "Il ricordo", aveva scritto Celâl in una delle sue rubriche, "è un giardino." Allora lui aveva pensato: Giardini di Rüya, Giardini del Sogno. Non pensare! Non pensare! Altrimenti soffrirai di gelosia. Ma in quel momento, studiando la fronte della moglie, non poté fare a meno di pensare.
(Traduzione: Mario Biondi)

Kar (Neve)
Il silenzio della neve, pensava l'uomo seduto dietro all'autista del pullman. Se questo fosse stato l'inizio di una poesia, avrebbe chiamato "silenzio della neve" ciò che sentiva dentro.
Aveva preso il pullman che l'avrebbe portato da Erzurum a Kars all'ultimo minuto. Dopo due giorni di viaggio fra le tormente di neve, da Istanbul era arrivato alla stazione dei pullman di Erzurum, e mentre con la borsa in mano nei corridoi sporchi e freddi cercava di capire dove fosse la fermata dei pullman per Kars, un tizio gli aveva detto che ce n'era uno in partenza.

(Traduzione: Marta Bertolini e Semsa Gezgin)

Sessiv Ez (La casa del silenzio)
Un giorno ho intrappolato una vespa dentro a un bicchiere... Per due giorni ha fatto avanti e indietro nel bicchiere, fino al momento in cui si è resa conto che non aveva via di scampo e si è rannicchiata in un cantuccio, immobile, aveva capito che non c'era niente da fare, niente da fare se non aspettare, senza sapere cosa si aspetta.
(Traduzione: Francesco Bruno)


Breece D'J Pancake (Breece Dexter Pancake) (1952-1979)

Trilobites
I open the truck's door, step onto the brick side street. I look at Company Hill again, all sort of worn down and round. A long time ago it was real craggy, and stood like an island in the Teays River. It took over a million years to make that smooth little hill, and I've looked all over it for trilobites. I think how it has always been there and always will be, least for as long as it matters. The air is smoky with summertime. A bunch of starlings swim over me. I was born in this country and I have never very much wanted to leave. I remember Pop's dead eyes looking at me. They were real dry, and that took something out of me. I shut the door, head for the café.
Trilobiti
Apro lo sportello del camioncino, smonto sulla stradina di mattoni. Guardo di nuovo Company Hill, consumata e tonda. Tanto tempo fa era tutta un dirupo e stava come un’isola nel fiume Teays. Ci ha messo più di un milione d’anni a trasformarsi in una collinetta liscia, e l’ho battuta da cima a fondo in cerca di trilobiti. Penso che è sempre stata lì e ci resterà sempre, almeno finché serve. L’aria ha i fumi dell’estate. Un volo di storni fluttua sopra di me. Sono nato in questo posto e non ho mai smaniato per andarmene. Ricordo gli occhi senza vita di papà, che mi guardavano. Erano tutti secchi, e questa cosa mi ha lasciato un po’ svuotato. Chiudo lo sportello, mi avvio verso la tavola calda.

(Traduzione: Cristiana Mennella)


Ferruccio Parazzoli (1935)

MMRossa
Entro in ascensore, schiaccio il pulsante zero e dall'ottavo piano, dove vivo, mi ritrovo a livello asfalto, piazzale Loreto, giusto all'imbocco del subway, via sotterranea, Linea 1, MM Rossa. Può iniziare il viaggio. In realtà il viaggio è già iniziato dal momento che, entrato in ascensore, ho schiacciato il pulsante zero. Ground Zero. Si dà il caso che dall'ottavo piano io precipiti ogni mattina fino al Livello Zero. Una cassa rivestita di zinco che precipita nella fossa ecologica fino a raggiungere in pochi secondi il Livello Zero. Cassa, fossa, livello zero: non c'è da stare allegri, a pensarci. Non ci penso, impegnato, come sono, a farmi largo tra il portone d'ingresso, l'edicola dei giornali, aperta ventiquattro ore su ventiquattro, e l'imbocco del metrò.


Laura Pariani (1951)

Il paese delle vocali
Sul pavimento della soffitta stanno ammonticchiati alla rinfusa gli oggetti più vari: schedari, bambole di pezza polverose, libri ingialliti, zuccotti per il mate con la scritta "Tucumán 66", rotoli di filo elettrico, soprammobili scheggiati o rotti: una pastorella di ceramica senza la mano destra, un arlecchino privo di naso, un'intera collezione di dischi di Angel Vargas e di Cátulo Castillo, un mazzo di bolas attorcigliate... Da tanto di quel tempo qui nessuno fa più pulizia.


Giuseppe Parini (1729-1799)

Il giorno
Giovin Signore, o a te scenda per lungo
Di magnanimi lombi ordine il sangue
Purissimo celeste, o in te del sangue
Emendino il difetto i compri onori
E le adunate in terra o in mar ricchezze
Dal genitor frugale in pochi lustri,
Me Precettor d'amabil Rito ascolta.
Come ingannar questi nojosi e lenti
Giorni di vita, cui sì lungo tedio
E fastidio insoffribile accompagna
Or io t'insegnerò. Quali al Mattino,
Quai dopo il Mezzodì, quali la Sera
Esser debban tue cure apprenderai,
Se in mezzo agli ozj tuoi ozio ti resta
Pur di tender gli orecchi a' versi miei.

La vita rustica
Perchè turbarmi l'anima,
O d'oro e d'onor brame,
Se del mio viver Atropo
Presso è a troncar lo stame?
E già per me si piega
Sul remo il nocchier brun
Colà donde si niega
Che più ritorni alcun?


Goffredo Parise (1929-1986)

L'odore del sangue
Ho guardato, anzi visto Silvia per la prima volta quando ho avuto la sensazione che mi tradisse. È questa una reazione diffusa, anzi banale, un po' meno banale quando ciò accade a un uomo di cinquantacinque anni come me per una donna di cinquanta come Silvia. È vero che Silvia è ancora quello che si dice una bella donna, "ben tenuta", e anche piena di fascino, è anche vero che si può essere gelosi a tutte le età come dimostrano le cronache ma nel mio caso non si trattò di gelosia, cioè di una passione antica come il mondo, bensì di curiosità, anch'essa una passione terribile ma di pochi e molto moderna.

Il prete bello
Il nonno aveva un cancro alla prostata e la custodia biciclette non andava avanti; ribassò i prezzi sul cartello, da 30 centesimi a 25, ma andò male lo stesso, i clienti erano pochi e i giorni buoni solo quelli del mercato. Io lo aiutavo a mettere le biciclette in fila quando arrivavano e davo ai signori il dischetto di cartone col numero.
La custodia biciclette era sotto un grande portico e dentro il portico, a destra, c'era una specie di garage che un tempo serviva per le carrozze dei padroni del palazzo, e in questo garage, quando glielo permettevano i dolori, il nonno lavorava. Costruiva biciclette e le montava con pezzi che lui stesso forgiava e saldava e infine, a lavoro ultimato, applicava al telaio una decalcomania con una rondine e una marca tedesca di cui era il solo rappresentante per l'Italia.


F. G. Parke (pseudonimo)

First Night Murder (La sera della prima)
Il sipario del secondo atto calò su Dita fantasma.
Destandosi dal suo tradizionale letargo, il pubblico della prima stupì se stesso scatenandosi in un'impressionante raffica di applausi. L'Olympic Theatre era stato riempito generosamente, dato che le celebrità grandi e meno grandi abituate a frequentare le prime avevano ricevuto i soliti biglietti omaggio.
In ogni caso, c'era un alone di spontaneità nel furore della platea, e alle orecchie addestrate dei bagarini che bighellonavano nel retro della sala quel furore suonava come la parola "successo".

(Traduzione: Dario Pratesi)


Tim Parks (1954)

A season with Verona (...)
FACCI SOGNARE, says the banner. Make us dream! Please!
We're in the Bentegodi stadium, Verona. My son and I are sitting on the edge of the famous Curva Sud. The South End. Ten minutes ago, hurrying with the throng up the stairs, our path was suddenly blocked. Somebody thrust a plastic stick across the steps. Tightly wrapped around it was a blue and yellow flag. I agreed to a 'donation' of a thousand lire. So now the whole curva is rising tide of flags, of shiny blue and yellow plastic, mass-produced, fiercely waved, and from beneath the flutter comes the slow loud swell of ten thousand voices chanting: 'Haaaayllas. Haaaayllas. Haaaayllas!' Because the team's official name is Hellas Verona.


Valeria Parrella (1974)

Mosca più balena
Quello che non ricordo più
Quando avevo sei anni ci fu il terremoto. Ero figlia unica, scappai a piedi nudi sotto l'arco di una porta, tra i miei genitori.
"Questa è la trave portante", disse mio padre con l'aria da architetto, "qui è tranquillo".
Stavamo al buio, il giorno seguente scoprimmo che l'unica crepa veramente profonda della casa era in quella trave.
Tre mesi dopo, una famosa maga del quartiere indicò alla popolazione il giorno e l'ora della prossima scossa. La gente dormiva con la valigia sotto il letto, e sulla maga non c'era da sbagliarsi, così quando arrivò il giorno X tutti cominciarono a scendere in strada. Accesero i falò.

Per grazia ricevuta
La corsa
Ogni volta che attraverso questa strada scelgo sempre lo stesso punto: ci arrivo un po' in diagonale dallo spartitraffico, o dritta dritta sulle strisce pedonali come se le macchine si fossero fermate per farmi passare. O scendendo dal tram, senza ombrello, corro a ripararmi sotto la tettoia della farmacia. Ma sempre passo via Marina in questo punto, non lo faccio apposta, cioè: lo faccio apposta senza volerlo. E allora lo immagino. Lo immagino così forte che posso vederlo: era Mario, e veniva lungo il marciapiede. Non attraversava: faceva già abbastanza caldo perché il corpo scegliesse da solo i passi all'ombra. Camminava veloce scorrendo sulla sinistra le finestre dell'ospedale Loreto, sulla destra la strada che avanzava contro il mare.


Blaise Pascal (1623-1662)

Pensées sur la religion et sur quelques autres sujets (...)
ORDRE
1 les psaumes chantés par toute la terre.
Qui rend témoignage de Mahomet ? Lui-même. J-C veut que son témoignage ne soit rien. La qualité de témoins fait qu'il faut qu'ils soient toujours, et partout, et misérables. Il est seul.
2 ordre par dialogues.
Que dois-je faire. Je ne vois partout qu'obscurités. Croirai-je que je ne suis rien? Croirai-je que je suis dieu?

Les provinciales (...)
Première lettre écrite à un provincial par un de ses amis, sur le sujet des disputes présentes de la Sorbonne
De Paris, ce 23 janvier 1656.
Monsieur,
Nous étions bien abusés. Je ne suis détrompé que d'hier; jusque-là j'ai pensé que le sujet des disputes de Sorbonne était bien important, et d'une extrême conséquence pour la religion. Tant d'assemblées d'une compagnie aussi célèbre qu'est la Faculté de théologie de Paris, et où il s'est passé tant de choses si extraordinaires et si hors d'exemple, en font concevoir une si haute idée, qu'on ne peut croire qu'il n'y en ait un sujet bien extraordinaire.
Cependant vous serez bien surpris quand vous apprendrez, par ce récit, à quoi se termine un si grand éclat; et c'est ce que je vous dirai en peu de mots, après m'en être parfaitement instruit.


Antonio Pascale (1966)

La città distratta
La città distratta
A Caserta ci sono quei fumatori che hanno lo sguardo sbieco, e non perché il fumo gli ottunda i sensi, succede invece che camminano guardando di sbieco perché cercano quelli che vendono le sigarette di contrabbando. Quelli che vendono le sigarette di contrabbando sono i marocchini. E questi non sono (più) soliti mettere il "bancariello" con le sigarette e sedercisi dietro. Se facessero così rischierebbero una denuncia. Anonima, però. A Caserta ci sono quelli che si lamentano, perché quei marocchini vendono la merce senza rilasciare la fattura e così facendo, sigaretta dopo sigaretta, un pacchetto dopo l'altro, mille lire dopo mille lire, finisce che si fanno i soldi e non pagano le tasse e allora come dicono quelli che non sopportano i marocchini: stann' cchiú meglio 'e te e me e di tutt'e duje miss'assieme.

La manutenzione degli affetti
La manutenzione degli affetti
Avevo appena fulminato la lampadina. Quella del bagno. Era la seconda che partiva. Poco prima ne aveva fulminata una Rosaria. Quella dello sgabuzzino.
Dal mio studio ho sentito il clic dell'interruttore e poi ho visto la luce che andava a intermittenza. Rosaria deve avere imprecato in silenzio. Me ne sono accorto solo perché Luca ha chiesto: - Mamma, cosa è successo? - Ho pensato che avrebbe risposto: niente, non ti preoccupare. E infatti, ha proprio risposto così.
Anche io rispondo così. Di questi tempi, le risposte ai bambini sono l'unica cosa che abbiamo in comune, io e mia moglie. Il fatto che fulminiamo lampadine quello no, forse è solo una casualità.

Non è per cattiveria
Col tempo ho sviluppato una vera e propria antipatia verso i viaggiatori professionisti. Quelli che a intervalli regolari prendono e partono. Perché, dicono, devono staccare la spina, cambiare aria, vedere posti nuovi, magari più belli, più strani, più vivi di quelli visti l'anno prima.
Non è che io sia contrario al viaggio su tutta la linea. Viaggiare in fondo è un accidente che può capitare a tutti e, certo, è quel genere di accidente capace di generare un benefico cambiamento d'umore (anche se non più di una bella giornata uscita fuori all'improvviso). Ma appunto si tratta di casualità, imprevisti della vita che non andrebbero teorizzati.

S'è fatta ora
Quel giorno, il 23 ottobre del 1975, mia madre mi fermò all'improvviso e mi mise un brutto cappello di colore marrone con i paraorecchie. All'epoca non truccavo ancora i motorini né impennavo per le vie del centro. Ero un delicato ragazzino di nove anni e mia madre tendeva a proteggere la mia salute. Da qualche istante cadeva la pioggia.
23 ottobre 1975, domenica. Ricordo anche l'ora: le 17.05, perché mio padre, che se ne stava seduto su una panchina, pronunciò la sua frase consueta, giusto un attimo prima che mia madre mi mettesse questo brutto cappello marrone. Con i paraorecchie.
"S'è fatta ora".


Giovanni Pascutto (1948)

L'amico Fritz
"Attento che se fai ancora la pipì a letto te lo taglio." La mamma era stanca di cmabiare ogni giorno le lenzuola. Andrea aveva promesso tante altre volte e ormai nessuno gli credeva più. Si vergognò, e per farsi ben volere dalla mamma andò di corsa al gabinetto.

Nessuna pietà per Giuseppe
Mai una giornata come dico io d'estate. Mai una nuvola disturba il sole mentre la notte, quando non ce n'è bisogno, sono tutte ammucchiate intorno la luna. Aver soldi me la godrei in un paese dove all'ora del tè, in pieno ferragosto, si brancola nel buio col freddo che entra piacevolmente nelle ossa. Nemmeno ho la forza di lamentarmi; adesso è un miracolo se respiro e fino alle dieci di stasera la mia ombra mi verrà dietro. Per lei è diverso, non fa una piega anzi con l'afa si esalta. Tutta la fatica è mia che cammino per disperazione e brandelli di asfalto si appiccicano alle suole delle scarpe.

Veramente non mi chiamo Silvia
Mentre l'euforia dei voli spaziali veniva interrotta da uno strepitoso botto che intorbidava l'azzurro cielo americano, Corrado progettava di iscriversi all'accademia e diventare pilota, primo indispensabile passo per guadagnare i gradi di astronauta. Ripiegò in agraria perchè la terra aveva un grande futuro. Trascorse un semestre di relativa quiete quando un bel mattino i giornali raccontarono di agricoltori inviperiti che riempivano le piazze di mele e agrumi, di stanchi allevatori che marciavano con i loro vitelloni rivendicando aiuti governativi e il glorioso lastricato del corso dedicato a uno dei generali invitti in una repubblica che aveva collezionato sporadiche vittorie e formidabili bastonate, venne parzialmente divelto da muscolosi zappatori.


Pier Paolo Pasolini (1922-1975)

Alì dagli occhi azzurri
Nelle notti di marzo l'acqua del Tevere ancora non assorbe la luce delle migliaia di fanali che da Ponte Milvio si sgranano fino a San Paolo: acqua e luci sono divisi da un leggero strato di freddo. In qualche sera, precocemente tiepida, si intravede quello che sarà il prossimo accordo tra la corrente e i lungoteveri, nella purezza della primavera. Il paesaggio buio - aria e acqua - punteggiato da luci in interminabili file ricurve, e arabescato dal buio più fitto degli alberi cittadini... e allora, svanito lo strato di freddo, circola tra fiume e fanali un'aria tenuissima, impalpabile, tutta trasformata in odore.

Amado mio
La più bella delle maglie di Marzins comparve verso sera. Erano di certo le sei suonate e il ballo pomeridiano era ancora dimesso, quasi famigliare. Si vedeva poca gente intorno e poca gente nella piattaforma; i giovani forestieri assaggiavano il terreno richiamandosi da un angolo all'altro del boschetto, lungo il recinto del ballo, e spingendosi magari in avventurose puntate sopra la "rosta", alta sul fiume nascosto dietro i cespugli e i vigneti.
La "maglia" comparve sopra un rullo di cemento, di quelli che servono per livellare il gioco delle bocce, tra due ontani spioventi sulla piattaforma.

Atti impuri

(Dal diario di Paolo)

30 Maggio 1946
È l'anniversario di una settimana straziante. Sono stato allora sul punto di compiere quel gesto che inconsciamente mi si ripete nell'immaginazione quando penso al mio peccato - il gesto della mia mano che si alza armata contro di me. Mi rivedo disteso sul letto col viso rivolto al muro... Ogni tanto riprendevo i sensi, uscendo dal mio stupore, una specie di paralisi, in cui mi sentivo staccato dalla mia esistenza. T. mi aveva parlato della sua confessione, in strada, davanti al cancello semiaperto. È stato quello il momento più angoscioso della mia vita.

Il disprezzo della provincia
Come una tana, sulla strada statale Venezia-Tarvisio, che passando per il paese si restringeva tra le vecchie case intristite, la stanza di Biasutti non riceveva dalla luce del giorno di marzo che la schiuma, un chiarore nauseato, cupo e lucido. Una colata di carte e vecchi libri ricopriva tutto, dalle coperte polverose del letto alle vecchie sedie di paglia.
"Hai visto" chiese D'Andrea "l'ultimo romanzo di M.?"
"No" rispose Biasutti occupato a vestirsi "com'è?"
D'Andrea tacque un poco, tirandosi tra le gambe le falde del cappotto: "Be'" disse "ancora un gradino più in basso".

La Divina Mimesis
Intorno ai quarant'anni mi accorsi di trovarmi in un momento molto oscuro della mia vita. Qualunque cosa facessi, nella "Selva" della realtà del 1963, anno in cui ero giunto, assurdamente impreparato a quell'esclusione dalla vita degli altri che è la ripetizione della propria, c'era un senso di oscurità. Non direi di nausea, o di angoscia: anzi, in quella oscurità, per dire il vero, c'era qualcosa di terribilmente luminoso: la luce della vecchia verità, se vogliamo, quella davanti a cui non c'è più niente da dire.

L'odore dell'India
È quasi mezzanotte, al Taj Mahal c'è l'aria di un mercato che chiude. Il grande albergo, uno dei più conosciuti del mondo, forato da una parte all'altra da corridoi e saloni altissimi (pare di girare nell'interno di un enorme strumento musicale), è pieno solo di boys vestiti di bianco, e di portinai col turbante di gala, che aspettano il passaggio di equivoci tassì. Non è il caso, oh, non è il caso di andare a dormire, in quelle camere grandi come dormitori, piene di mobili di un mesto novecento ritardatario, con ventilatori che sembrano elicotteri.

Petrolio
Appunto I
Antefatti

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1Questo romanzo non comincia.

Ragazzi di vita
Era una caldissima giornata di luglio. Il Riccetto che doveva farsi la prima comunione e la cresima, s'era alzato già alle cinque; ma mentre scendeva giù per via Donna Olimpia coi calzoni lunghi grigi e la camicetta bianca, piuttosto che un comunicando o un soldato di Gesù pareva un pischello quando se ne va acchittato pei lungoteveri a rimorchiare. Con una compagnia di maschi uguali a lui, tutti vestiti di bianco, scese giù alla chiesa della Divina Provvidenza, dove alle nove Don Pizzuto gli fece la comunione e alle undici il Vescovo lo cresimò. Il Riccetto però aveva una gran prescia di tagliare: da Monteverde giù alla stazione di Trastevere non si sentiva che un solo continuo rumore di macchine.

Il sogno di una cosa
Fin dal mattino, se la giornata è serena, la strada provinciale e i viottoli campestri che conducono a Casale, si riempiono di gente che va alla sagra del Lunedì di Pasqua. Un po' alla volta le immense radure, d'un verde ancora invernale, freddo e leggero, colorato qua e là da qualche ramo rosa di pesco, formicolano di gente che passeggia, si diverte, gioca, corre; i cavalli sciolti dalle carrette trottano pascolando lungo i fossi, cavalcati da qualche ragazzo vestito a festa; i bambini corrono agitando le loro spade di rami scortecciati, tra i grandi depositi delle biciclette, e le bambine con le loro bluse arancione, viola o verde, giocano tranquille sotto i sambuchi appena ingemmati.

Teorema
I primi dati di questa nostra storia consistono, molto modestamente, nella descrizione di una vita famigliare. Si tratta di una famiglia piccolo borghese: piccolo borghese in senso ideologico, non in senso economico. È infatti il caso di persone molto ricche, che abitano a Milano. Crediamo che non sia difficile per il lettore immaginare come queste persone vivano; come si comportino nei loro rapporti col loro ambiente (che è quello appunto della ricca borghesia industriale), come agiscano nella loro cerchia famigliare, e così via.

Una vita violenta
Tommaso, Lello, il Zucabbo e gli altri ragazzini che abitavano nel villaggetto di baracche sulla Via dei Monti di Pietralata, come sempre dopo mangiato, arrivarono davanti alla scuola almeno una mezzoretta prima.
Lì intorno c'erano già però pure altri pipelletti della borgata, che giocavano sulla fanga col coltellino. Tommaso, Lello e gli altri si misero a guardarli, accucciandosi intorno, con le cartelle che strusciavano sulla fanga: poi vennero due o tre con una palla, e gli altri buttarono le cartelle sopra un montarozzetto, e corsero dietro la scuola, nella spianata ch'era la piazza centrale della borgata.


László Passuth (1900-1979)

Napolyi Johanna (La rosa d'oro)
Luigi di Baviera, re dei germanici, dalle prime ore dell'alba sedeva nella sacrestia di Santa Maria Maggiore, in attesa che le campane dessero il segnale d'inizio della cerimonia dell'incoronazione. I suoi occhi s'erano abituati lentamente al grigiore di quel mattino di gennaio; un santo scolpito in pietra si staccava dalla semioscurità dello sfondo e sulla cornice dorata d'un dipinto della Madonna vibrava la luce oscillante d'una candela. L'uomo biondo, dall'aspetto stanco, s'alzò dall'inginocchiatoio e s'accostò alla porticina laterale per aprirla; voleva che l'odore delle candele a buon mercato venisse disperso dal vento mattutino.
(Traduzione: Filippo Faber)


Boris Leonidovic Pasternak (1890-1960)

Doktor Zivago (Il dottor Zivago)
Andavano e sempre camminando cantavano "eterna memoria", e a ogni pausa era come se lo scalpiccio, i cavalli, le folate di vento seguitassero quel canto.
I passanti facevano largo al corteo, contavano le corone, si segnavano. I curiosi, mescolandosi alla fila, chiedevano: "Chi è morto?" La risposta era: "Zivago." "Ah! Allora si capisce." "Ma non lui. La moglie." "È lo stesso. Dio l'abbia in gloria. Gran bel funerale."
Scoccarono gli ultimi minuti, scanditi, irrevocabili. "La terra del Signore e la sua creazione, l'universo e ogni cosa vivente."
Il prete nel gesto della benedizione gettò un pugno di terra su Màrija Nikolàevna. Fu intonato "Con gli spiriti giusti." Poi tutto prese un ritmo spaventoso. La bara fu chiusa, inchiodata, calata nella fossa. Tambureggiò la pioggia delle palate di terra, rovesciata in fretta, con quattro vanghe, sulla cassa, finché non si formò un piccolo tumulo. Sopra vi salì un ragazzo di dieci anni.
Soltanto quello stato d'inebetito torpore, che di solito prende alla fine d'ogni imponente funerale, poté creare l'impressione che il bambino volesse tenere un discorso sulla tomba della madre.

(Traduzione: Pietro Zveteremich)


Ben Pastor (Maria Verbena Volpi) (1950)

The Horseman's Song (La canzone del cavaliere)
Dalle canne slanciate si levava un fruscio di pioggia, ma non pioveva da un mese, e negli argini le acque del torrente scorrevano basse.
Da dove si trovava, Martin Bora distinse subito la morte. Più di un'immobilità: una totale, esanime mancanza di quella tensione che preannuncia un moto imminente. Negli ultimi tempi l'inerzia delle cose disanimate gli era divenuta familiare, e subito la riconobbe abbracciando con lo sguardo la curva della mulattiera, là dove gli alberi si infoltivano.

(Traduzione: Paola Bonini)

Lumen
The Polish words stencilled on the plaque read, "Take Good Heed", and the Hebrew script below them presumably repeated the sentence. Coloured pictures illustrating the alphabet were pasted on the wall around the plaque. For the letter L, the picture showed a little girl pushing a doll carriage.
Suddenly the odour of mangled flesh was sharp, crude. It came to his nostrils unexpectedly, so that Bora turned away from the wall and walked towards the middle of the room, where an army medic stood in gloves and surgical mask.
Lumen
La scritta in polacco dipinta sul cartello esortava:
Fate bene attenzione, e i caratteri ebraici poco più sotto, ribadivano verosimilmente lo stesso concetto. Sul muro tutto intorno erano affisse illustrazioni a colori dell'alfabeto. Per la lettera L, la figura rappresentava una bambina intenta a spingere una carrozzina di bambola.
D'un tratto l'odore di carne straziata si fece pungente, crudo. Gli salì alle narici senza alcun preavviso, e Bora si allontanò di scatto dalla parete per spostarsi al centro della stanza, verso un infermiere militare in guanti e mascherina chirurgica.

(Traduzione: Paola Bonini)

The Water Thief
The pounding of mattocks and mallets followed Aelius Spartianus as he entered the compound, so much like a military camp that he wondered whether all of them, from the emperor to the last recruit, were so shaped by their duties as to think exclusively in those terms. The foursquare shape, secure and solid, to be multiturreted in the end no doubt, enclosed him with the old safety that held in without dwarfing, although its perimeter must be a mile and half at least.
Il ladro d'acqua
I rintocchi delle zappe e dei martelli accompagnarono Elio Sparziano mentre entrava nel complesso, così simile a un accampamento militare da spingerlo a domandarsi se tutti quanti, dall'Imperatore all'ultima delle reclute, fossero a tal punto plasmati dai loro doveri da saper ragionare solo in quei termini. La forma tetragona, sicura e solida, che in futuro sarebbe stata sovrastata da una miriade di torrette, lo circondò di una sicurezza antica che rinserrava senza far sentire piccini, anche se il perimetro doveva estendersi per almeno un miglio e mezzo.

(Traduzione: Paola Bonini)


Giancarlo Pastore (1967)

Meduse
il mio alito puzza.
al lavoro si scostano quando parlo, tirano indietro il collo, come galline subito zampettano lontani.
credo lo colleghino al mio ultimo star male, la crisi, le analisi, e il resto. per questo capitano smorfie di pietà o moderata compassione, tipo "poverino mica è colpa sua, con quello che ha passato..." ma ogni volta, comunque, sguardi attoniti da apnea, stringersi isterico di narici, retromarce e fughe discrete.
sbadiglio, mi capita spesso, nemmeno me ne accorgo, e allora mi si crea il vuoto intorno, la voragine.


Leonardo Patrignani (1980)

Multiversum Saga: Multiversum
Alex Loria era pronto per il canestro decisivo.
La maglia giallo-blu impregnata di sudore, i capelli biondi a caschetto sulla fronte e lo sguardo di chi sapeva che avrebbe segnato.
Era il capitano. Aveva guadagnato due tiri liberi all’ultimo minuto. Il primo era entrato. Ferro-tabellone-ferro-canestro.
Mancava un solo punto. Non poteva fallire.

Multiversum Saga: Memoria
Era il cielo di sempre.
Erano i volti di sempre.
Era il rifugio sotterraneo, il tunnel scavato nel muro per tornare a vedere la luce, il silenzio prima della traccia nascosta alla fine del disco. Un dove, in un mondo in cui non esisteva più alcun luogo. Un quando, in una realtà senza futuro. Era il jolly spuntato dal mazzo nel momento critico della partita.

Multiversum Saga: Utopia
Altrove, qualche tempo prima, fu il duro e freddo asfalto. Furono i fari delle camionette sbucate all’improvviso dal fondo di quella lingua di terra in mezzo alla boscaglia. Furono i freni di un fuoristrada che stridevano sul lucido strato di bitume.
E poi il grido di un uomo, l’ordine di scendere immediatamente dal veicolo. Le braccia di Alex, Jenny e Marco alzate in segno di resa, gli sguardi impotenti di fronte alla schiera di luci e armi a pochi metri da loro.
Quindi gli spari.


Cesare Pavese (1908-1950)

La bella estate
A quei tempi era sempre festa. Bastava uscire di casa e traversare la strada, per diventare come matte, e tutto era cosí bello, specialmente di notte, che tornando stanche morte speravano ancora che qualcosa succedesse, che scoppiasse un incendio, che in casa nascesse un bambino, e magari venisse giorno all'improvviso e tutta la gente uscisse in strada e si potesse continuare a camminare camminare fino ai prati e fin dietro le colline. - Siete sane, siete giovani, - dicevano, - siete ragazze, non avete pensieri, si capisce-. Eppure una di loro, quella Tina che era uscita zoppa dall'ospedale e in casa non aveva da mangiare, anche lei rideva per niente, e una sera, trottando dietro gli altri, si era fermata e si era messa a piangere perché dormire era una stupidaggine e rubava tempo all'allegria.

La casa in collina
Già in altri tempi si diceva la collina come avremmo detto il mare o la boscaglia. Ci tornavo la sera, dalla città che si oscurava, e per me non era un luogo tra gli altri, ma un aspetto delle cose, un modo di vivere. Per esempio, non vedevo differenza tra quelle colline e queste antiche dove giocai da bambino e adesso vivo: sempre un terreno accidentato e serpeggiante, coltivato e selvatico, sempre strade, cascine e burroni.

Il compagno
Mi dicevano Pablo perché suonavo la chitarra. La notte che Amelio si ruppe la schiena sulla strada di Avigliana, ero andato con tre o quattro a una merenda in collina - mica lontano, si vedeva il ponte - e avevamo bevuto e scherzato sotto la luna di settembre, finché per via del fresco ci toccò cantare al chiuso. Allora le ragazze si erano messe a ballare. Io suonavo - Pablo qui, Pablo là - ma non ero contento, mi è sempre piaciuto suonare con qualcuno che capisca, invece quelli non volevano che gridare più forte. Toccai ancora la chitarra andando a casa e qualcuno cantava. La nebbia mi bagnava la mano. Ero stufo di quella vita.

Dialoghi con Leucò
Cesare Pavese, che molti si ostinano a considerare un testardo narratore realista, specializzato in campagne e periferie americano-piemontesi, ci scopre in questi Dialoghi un nuovo aspetto del suo temperamento. Non c'è scrittore autentico, il quale non abbia i suoi quarti di luna, il suo capriccio, la musa nascosta, che a un tratto lo inducono a farsi eremita. Pavese si è ricordato di quand'era a scuola e di quel che leggeva: si è ricordato dei libri che legge ogni giorno, degli unici libri che legge. Ha smesso per un momento di credere che il suo totem e tabù, i suoi selvaggi, gli piriti della vegetazione, l'assassinio rituale, la sfera mitica e il culto dei morti, fossero inutili bizzarrie e ha voluto cercare in essi il segreto di qualcosa che tutti ricordano, tutti ammirano un po' straccamente e ci sbadigliano un sorriso. E ne sono nati questi Dialoghi.

Feria d'agosto
Chi fossero i miei compagni di quelle giornate, non ricordo. Vivevano in una casa del paese, mi pare, di fronte a noi, dei ragazzi scamiciati - due - forse fratelli. Uno si chiamava Pale, da Pasquale, e può darsi che attribuisca il suo nome all'altro. Ma erano tanti i ragazzi che conoscevo di qua e di là.
Questo Pale - lungo lungo, con una bocca da cavallo - quando suo padre gliene dava un fracco scappava da casa a mancava per due o tre giorni; sicché, quando ricompariva, il padre era già all'agguato con la cinghia e tornava a spellarlo, e lui scappava un'altra volta e sua madre lo chiamava a gran voce, maledicendolo, da quella finestra scrostata che guardava sui prati, sui boschi del fiume, verso lo sbocco della valle.

La luna e i falò
C'è una ragione perché sono tornato in questo paese, qui e non invece a Canelli, a Barbaresco o in Alba. Qui non ci sono nato, è quasi certo; dove son nato non lo so; non c'è da queste parti una casa né un pezzo di terra né delle ossa ch'io possa dire "Ecco cos'ero prima di nascere".

Il mestiere di vivere
6 ott. '35
Che qualcuna delle ultime poesie sia convincente, non toglie importanza al fatto che le compongo con sempre maggiore indifferenza e riluttanza. Nemmeno importa molto che la gioia inventiva mi riesca qualche volta oltremodo acuta. Le due cose, messe insieme, si spiegano con l'acquisita disinvoltura metrica, che toglie il gusto di scavare da un materiale informe, e insieme interessi miei di vita pratica che aggiungono un'esaltazione passionale alla meditazione su certune poesie.

Paesi tuoi
Cominciò a lavorarmi sulla porta. Io gli avevo detto che non era la prima volta che uscivo di là e che un uomo come lui doveva provare anche quello, ma ecco che si mette a ridere facendo il malizioso come fossimo uomo e donna in un prato, e si butta sotto il braccio il fagotto e mi dice: "Bisognerebbe non avere mio padre". Che gli scappasse da ridere me l'aspettavo, perché un goffo come quello non esce di là dentro senza fare matterie, ma era un ridere con malizia, di quelli che si fanno per aprire un discorso. "Stasera mangerai la gallina con tuo padre" gli dico guardando la strada. "La prima volta che si esce dal giudiziario, a casa ti fanno la festa di nozze."

La spiaggia
Da parecchio tempo eravamo intesi con l'amico Doro che sarei stato ospite suo. A Doro volevo un gran bene, e quando lui per sposarsi andò a stare a Genova ci feci una mezza malattia. Quando gli scrissi per rifiutare di assistere alle nozze, ricevetti una risposta asciutta e baldanzosa dove mi spiegava che, se i soldi non devono neanche servire a stabilirsi nella città che piace alla moglie, allora non si capisce più a che cosa devano servire. Poi, un bel giorno, di passaggio a Genova, mi presentai a casa sua e facemmo la pace. Mi riuscì molto simpatica la moglie, una monella che mi disse graziosamente di chiamarla Clelia e ci lasciò soli quel tanto ch'era giusto, e quando alla sera ci ricomparve innanzi per uscire con noi, era diventata un'incantevole signora cui, se non fossi stato io, avrei baciato la mano.


Roberto Pazzi (1946)

D’amore non esistono peccati
Da quanto mi trovo qui? Spesso me lo domando senza ancora saper rispondere, né ricordare come ci sia arrivato. Non sono nemmeno sicuro di essere sveglio. Rammento soltanto di esserci piovuto un giorno umido di primavera che pareva d’autunno, con un certo malessere alle ossa e difficoltà di concentrazione.
Poi non devo essermi sentito bene…
Non sono solo, ma regna fra gli ospiti un tacito accordo, se non proprio a evitarci, a rivolgersi poco la parola.

Vangelo di Giuda
Trasillo, l'astrologo di Tiberio, da qualche giorno aveva avvertito il suo signore. La congiunzione nei Pesci di Giove e Sturno non prometteva nulla di nuono; qualcosa per mare sarebbe giunto a turbare la tranquillità dell'inperatore anche lì, a Capri, dove pareva che il rumore dell'urbe fosse solo una reminiscenza dei messaggeri del senato.
- E che pensi che sia, Trasillo, un mostro marino, una flotta di nuovo argonauti? - incalzava un mattino il figlio di Livia insonne, l'occhio arrossato e la barba incolta come dopo una notte passata a prolungare i piaceri della tavola.
Da pochi mesi era stato giustiziato quel Sejano, il prefetto del pretorio, che aveva garantito a Tiberio anni interi di evasioni dal suo odioso carcere del potere.


Thomas Love Peacock (1785-1866)

Crotchet Castle (...)
In one of those beautiful valleys, through which the Thames (not yet polluted by the tide, the scouring of cities, or even the minor defilement of the sandy streams of Surrey) rolls a clear flood through flowery meadows, under the shade of old beech woods, and the smooth mossy greensward of the chalk hills (which pour into it their tributary rivulets, as pure and pellucid as the fountain of Bandusium, or the wells of Scamander, by which the wives and daughters of the Trojans washed their splendid garments in the days of peace, before the coming of the Greeks); in one of those beautiful valleys, on a bold round-surfaced lawn, spotted with juniper, that opened itself in the bosom of an old wood, which rose with a steep, but not precipitous ascent, from the river to the summit of the hill, stood the castellated villa of a retired citizen.

Nightmare Abbey
Nightmare Abbey, a venerable family-mansion, in a highly picturesque state of semi-dilapidation, pleasantly situated on a strip of dry land between the sea and the fens, at the verge of the county of Lincoln, had the honour to be the seat of Christopher Glowry, Esquire. This gentleman was naturally of an atrabilarious temperament, and much troubled with those phantoms of indigestion which are commonly called "blue devils". He had been deceived in an early friendship: he had been crossed in love; and had offered his hand, from pique, to a lady, who accepted it from interest, and who, in so doing, violently tore asunder the bonds of a tried and youthful attachment.
L'abbazia degli incubi
L'Abbazia degli incubi, vetusta magione familiare in un assai pittoresco stato di semidecadenza, era amenamente situata su una striscia di terra arida tra il mare e le paludi, al limitare della contea di Lincoln; l'esimio Christopher Glowry le aveva dato lustro eleggendola a sua dimora. Il suddetto gentiluomo, per natura di indole malinconica, era grandemente afflitto da quei fantasmi della dispepsia comunemente chiamati umor nero. Già amareggiato nel verde dei suoi anni da un'amicizia deludente, aveva poi sofferto per un amore contrastato. Offrì quindi il suo nome, per ripicca, a una dama che - troncando di netto i vincoli di un provato affetto giovanile - l'accettò per interesse.

(Traduzione: Valentina Brunetti)


Mervyn Laurence Peake (1911-1968)

Titus Groan
Gormenghast, that is, the main massing of the original stone, taken by itself would have displayed a certain ponderous architectural quality were it possible to have ignored the circumfusion of those mean dwellings that swarmed like an epidemic around its outer walls. They sprawled over the sloping earth, each one half way over its neighbour until, held back by the castle ramparts, the innermost of these hovels laid hold on the great walls, clamping themselves thereto like limpets to a rock. These dwellings, by ancient law, were granted this chill intimacy with the stronghold that loomed above them. Over their irregular roofs would fall throughout the seasons, the shadows of time-eaten buttresses, of broken and lofty turrets, and, most enormous of all, the shadow of the Tower of Flints, This tower, patched unevenly with black ivy, arose like a mutilated finger from among the fists of knuckled masonry and pointed blasphemously at heaven. At night the owls made of it an echoing throat; by day it stood voiceless and cast its long shadow.
Tito di Gormenghast
Gormenghast, ovvero l'agglomerato centrale della costruzione originarla, avrebbe esibito, preso in sé, una certa qual massiccia corposità architettonica, se fosse stato possibile ignorare il nugolo di abitazioni miserande che pullulavano lungo il circuito esterno delle mura inerpicandosi su per il pendio, semiaddossate le une alle altre, fino alle bicocche più intere che, trattenute dal terrapieno del castello, si puntellavano alle grandi mura aderendovi come patelle a uno scoglio. Questa fredda intimità con la mole incombente della fortezza era concessa alle abitazioni da leggi antichissime. Sui tetti irregolari cadeva, col variare delle stagioni, l'ombra dei contrafforti smangiati dal tempo, delle torrette smozzicate o eccelse e, enorme fra tutte, l'ombra del Torrione delle Selci che, pezzato qua e là di edera nera, sorgeva dai pugni di pietrame nocchiuto come un dito mutilato puntando come una bestemmia verso il cielo. Di notte, i gufi ne facevano una gola sonante; di giorno, la sua ombra nera si allungava muta.

(Traduzione: Anna Ravano)

Gormenghast
Titus is seven. His confines, Gormenghast. Suckled on shadows; weaned, as it were, on webs of ritual: for his ears, echoes, for his eyes, a labyrinth of stone: and yet within his body something other - other than this umbrageous legacy. For first and ever foremost he is child.
A ritual, more compelling than ever man devised, is fighting anchored darkness. A ritual of the blood; of the jumping blood. These quicks of sentience owe nothing to his forbears, but to those feckless hosts, a trillion deep, of the globe's childhood.
The gift of the bright blood. Of blood that laughs when the tenets mutter 'Weep'. Of blood that mourns when the sere laws croak 'Rejoice!' O little revolution in great shades!
Gormenghast
Tito ha sette anni. I suoi confini sono quelli di Gormenghast. Ne sugge le ombre come latte; lo svezza, per cosi dire, il garbuglio dei rituali: alle sue orecchie si offrono echi, agli occhi un labirinto di pietra: eppure ha dell'altro in corpo - ben altro che un lascito d' ombra. Perché prima di tutto, e pur sempre, è un
bambino.
Un nuovo rituale, invincibile più di quanti ne abbia escogitati l'uomo, lotta contro il buio indolente. Un rituale del sangue; del sangue impetuoso. Per questi accessi di senso Tito non deve nulla ai suoi antenati, ma alle moltitudini irresponsabili, legione dopo legione, della fanciullezza del mondo.
II dono del sangue vivo. Del sangue che se la dottrina bofonchia «Piangi!» le ride in faccia. Del sangue che se le leggi ammuffite rantolano «Gioisci!» si veste a lutto. Oh, minuscola rivoluzione tra le ombre immense!

(Traduzione: Roberto Serrai)

Titus Alone
To north, south, east or west, turning at will, it was not long before his landmarks fled him. Gone was the outline of his mountainous home. Gone that torn world of towers. Gone the grey lichen; gone the black ivy. Gone was the labyrinth that fed his dreams. Gone ritual, his marrow and his bane. Gone boyhood. Gone.
It was no more than a memory now; a slur of the tide; a reverie, or the sound of a key, turning.
Via da Gormenghast
Verso nord, sud, est, ovest, ora di qua, ora di là: non ci volle molto prima che Tito perdesse qualunque punto di riferimento. Sparito il profilo della sua casa grande come una montagna. Spariti quel mondo lacerato e le sue torri. Sparito il grigio lichene; sparita l'edera nera. Sparito il labirinto che nutriva i suoi sogni. Sparito il rituale, che era il suo midollo e insieme la sua rovina. Sparita l'infanzia. Sparito tutto.
Ormai era solo un ricordo; un farfugliare di marea; un sogno a occhi aperti, o il rumore di una chiave che gira.

(Traduzione: Roberto Serrai)


Marco Peano (1979)

L'invenzione della madre
La madre sarebbe tornata. Dopo più di un mese in ospedale, tutto a casa era pronto per accoglierla: Mattia e suo padre avevano curato ogni dettaglio.
Era martedì 1° febbraio 2005 e l'aria era fredda, ma c'era il sole. Ogni osa sembrava leggera.
Fermi in piedi, fuori dalla stanza di un ospedale di provincia, stavano in attesa i barellieri: volontari - forse segnati da un lutto personale - che regalano il proprio tempo ai bisognosi. Hanno il compito di predisporre la lettiga per il trasporto del paziente da casa all'ospedale (e questo è un viaggio triste) o, come ora con la madre di Mattia, dall'ospedale a casa (e questo è un viaggio allegro). Si muovono rigorosamente in coppia - uno dei due di solito ha più esperienza, l'altro cerca di imparare.


Matthew Pearl (1977)

The Dante Club
John Kurtz, the chief of the Boston police, breathed in some of his heft for a better fit between the two chambermaids. On one side, the Irish woman who had discovered the body was blubbering and wailing prayers unfamiliar (because they were Catholic) and unintelligible (because she was blubbering) that prickled the hair in Kurtz's ear; on the other side was her soundless and despairing niece. The parlor had a wide arrangement of chairs and couches, but the women had squeezed in next to the guest as they waited. He had to concentrate on not spilling any of his tea, the black haircloth divan was rattling so hard with their shock.
Il circolo Dante
Il commissario John Kurtz, il capo della polizia di Boston, trattenne il fiato per stringersi meglio tra le due cameriere. Da una parte, la irlandese che aveva scoperto il cadavere piagnucolava e singhiozzava recitando preghiere sconosciute (perché erano cattoliche) e incomprensibili (per il pianto della donna) che gli facevano drizzare i peli delle orecchie; dall'altra, vi era sua nipote, chiusa in un silenzio disperato. Il salotto offriva un vasto assortimento di sofà e sedie, ma le domestiche avevano preferito aspettare pigiandosi contro l'ospite. Tremavano tanto sul divano di crine nero, che il commissario doveva stare attento a non versare il tè.

(Traduzione: Roberta Zuppet)

The Poe Shadow
I remember the day it began because I was impatient for an important letter to arrive. Also, because it was meant to be the day of my engagement to Hattie Blum. And, of course, it was the day I saw him dead. The Blums were near neighbors of my family. Hattie was the youngest and most affable of four sisters who were considered nearly the prettiest four sisters in Baltimore. Hattie and I had been acquainted from our very infancies, as we were told often enough through the years. And each time we were told how long we'd known each other, I think the words were meant also to say, "and you shall know each other evermore, depend upon it."
L'ombra di Edgar
Ricordo il giorno in cui tutto ebbe inizio, perché aspettavo con ansia una lettera importante. E anche perché quel giorno era previsto che mi fidanzassi con Hattie Blum. E, naturalmente, perché fu il giorno in cui lo vidi morto. I Blum abitavano poco lontano da casa mia. Hattie era la minore e la più affabile di quattro sorelle, considerate forse le più graziose di Baltimora. Ci conoscevamo da quando eravamo nati, come ci avevano spesso ripetuto nel corso degli anni. E ogni volta che qualcuno ce lo rammentava ritengo che sottintendesse anche "e vi conoscerete per sempre, statene certi".

(Traduzione: Roberta Zuppet)


Iain Pears (1955)

An Instance of the Fingerpost
Marco da Cola, gentleman of Venice, respectfully presents his greetings. I wish to recount the journey which I made to England in the year 1663, the events which I witnessed and the people I met, these being, I hope, of some interest to those concerned with curiosity. Equally, I intend my account to expose the lies told by those whom I once numbered, wrongly, amongst my friend.
La quarta verità
Marco da Cola, gentiluomo di Venezia, presenta i suoi rispettosi ossequi. È mio desiderio narrare del viaggio che feci in Inghilterra nell'anno 1663, degli avvenimenti di cui fui testimone e delle persone che conobbi; argomenti, spero, non indegni dell'attenzione di quanti osservano con interesse le bizzarrie del mondo. Al tempo stesso, intendo con questo mio resoconto smascherare le menzogne propalate da coloro che annoveravo un tempo, erroneamente, fra i miei amici.

(Traduzione: Richard Ambrosini e Alfredo Tutino)


Giuseppe Pederiali (1937-2013)

La compagnia della Selva Bella
Era il più bel maiale che avessero mai visto; enorme, grasso, di un bel colorito rosa pallido, pochissimo peloso, di sicuro intelligente. Dovevano essersi levati il pane di bocca per nutrire lui, mentre il porcile, di fianco alla casa sulla via Emilia, a forza di aggiunte, ampliamenti e rifacimenti del tetto, dalla paglia ai coppi, era diventato più grande e importante della casa stessa.

Il tesoro del Bigatto
Il Diavolo entrò nell'animale, interruppe i sogni del suo letargo, lo svegliò. Rabbrividì per il freddo che il corpo del piccolo mammifero cominciò a percepire. Avrebbe dovuto dormire fino a primavera inoltrata; il cuore faticava a pompare il sangue e gli occhi vedevano soltanto il buio della tana scavata tra le radici di una quercia.
La donnola percorse la galleria orizzontale, poi iniziò a salire. Scavò tra i sassi e il terriccio sistemati in autunno per difendere la zona più sotterranea dal freddo e dagli altri animali, entrò direttamente nella cavità che il tempo e le formiche rosse avevano scavato nel tronco della quercia.


Marco Pedone (1957)

GRI. Galvanoplastiche Ramature Imola
Il giorno che Tore, il postino, le consegnò una busta di banconote più gonfia delle precedenti, Linda non si fece molte domande. Sistemò i soldi nell'armadio tra la biancheria e il fucile di Pippi e alle undici in punto era seduta sulla poltrona di bambù, in giardino, con le stecche di marlboro in grembo.
Linda e Pippi chiamavano giardino quello che in realtà era poco più di un orto col pollaio. Vi si accedeva solo dall'esterno, da una porticina giusto a fianco della soglia di casa. Pippi diceva che era l'ufficio personale di Linda, non tanto per il contrabbando che lei aveva voluto sempre per sé, quanto perché a Linda piaceva scorticare i fumatori maschi del paese, fargli sentire addosso la puzza delle mogli quando venivano nel giardino a rifornirsi di bionde.


Viktor Pelevin (1962)

Apàev i Pustotà (Il mignolo di Buddha)
Il nome del vero autore di questo manoscritto, composto nella prima metà degli anni Venti in un monastero della Mongolia Interna, per molte ragioni non può essere menzionato. Viene dato alle stampe con il nome del redattore che ne ha curato la pubblicazione. La presente versione non include la descrizione di una serie di procedure magiche che figurano nell'originale, come pure le voluminose memorie del narratore sulla sua vita nella Pietroburgo prerivoluzionaria (il cosiddetto "periodo pietroburghese"). La definizione del genere letterario che ne dà l'autore - "slancio particolare del libero pensiero" - è stata parimenti omessa: va evidentemente interpretata come uno scherzo.
(Traduzione: Katia Renna e Tatiana Olear)


Michele Pellegrini (1960)

Dimissioni
Cosa succede nel sogno non è importante e del resto non succede quasi mai niente di straordinario. Il problema è che, qualsiasi cosa sia, presto si carica di significati ambigui: luoghi familiari e del tutto inoffensivi diventano soffocanti; parole banali sembrano sottintendere minacce incomprensibili. So bene che proprio questa è la natura dell'incubo; eppure penso che, se i miei sogni li sognasse un altro, non si sveglierebbe di colpo, pieno di paura e coperto di sudore; forse non li ricorderebbe nemmeno.

Grand Tour
Ultimo giorno di riposo e domani torno a faticare; cioè, si fa per dire. Ma fare niente è meglio che fare poco. Ricordo un proverbio che citava mio padre, attribuendolo a qualche antico saggio cinese: mai stare in piedi se puoi stare seduto e mai stare seduto se puoi stare sdraiato. Il vecchio lavorava sodo, però. Probabile che questo proverbio lo abbia raccontato una volta sola, e in chissà che contesto, ma a me è rimasto infitto nel cervello, luminoso come un neon. Comunque: non sarà fatica ma è routine, noia, svegliarsi presto la mattina; rottura di palle, insomma. Dopo un po' qualsiasi cosa diventa una pena.


Angelo Maria Pellegrino (1946)

In transiberiana
Partenza
Sensazione di assenza corporea, di mancanza di peso e d'esistenza reale, in un luogo greve e noto, quello più quotidiano: Roma, la città dove vivo da anni, dove con ogni probabilità vivrò ancora per anni, mentre un vecchio taxi (tipo 1100 E), riverniciato di giallo, mi trascina alla Stazione Termini già tutto intirizzito da questo primo acquazzone d'autunno. Chissà perché venuto giù proprio oggi che sto per partire. È un cattivo auspicio? Se ne avessi la certezza tornerei subito indietro, superstizioso come sono... E sarebbe una vera disgrazia lo stesso. Non so se avrei più la forza, domani o dopo, di ripartire ancora: 12503 chilometri (dodicimilacinquecentotré) di sola andata fino a Pechino, e sono ancora imbottigliato nel traffico nero, fango, asfalto, pioggia di Roma.


Silvio Pellico (1789-1854)

Le mie prigioni
Il venerdì 13 ottobre 1820 fui arrestato a Milano, e condotto a Santa Margherita. Erano le tre pomeridiane. Mi si fece un lungo interrogatorio per tutto quel giorno e per altri ancora. Ma di ciò non dirò nulla. Simile ad un amante maltrattato dalla sua bella, e dignitosamente risoluto di tenerle broncio, lascio la politica ov'ella sta, e parlo d'altro.
Alle nove della sera di quel povero venerdì, l'attuario mi consegnò al custode, e questi, condottomi nella stanza a me destinata, si fece da me rimettere con gentile invito, per restituirmeli a tempo debito, orologio, denaro, e ogni altra cosa ch'io avessi in tasca, e m'augurò rispettosamente la buona notte.
"Fermatevi, caro voi;" gli dissi "oggi non ho pranzato; fatemi portare qualche cosa."
"Subito, la locanda è qui vicina; e sentirà, signore, che buon vino!"
"Vino, non ne bevo."
A questa risposta, il signor Angiolino mi guardò spaventato, e sperando ch'io scherzassi. I custodi di carceri che tengono bettola, inorridiscono d'un prigioniero astemio.
"Non ne bevo, davvero."
"M'incresce per lei; patirà al doppio la solitudine..."


Daniel Pennac (1944)

Ancien malade des hôpitaux de Paris (La lunga notte del dottor Galvan)
"Sono vent'anni oggi, signore. Quasi un anniversario. Così viene voglia di raccontarlo a qualcuno... Ha un momento? Le dovrebbe interessare, visto che mi hanno detto che fa lo scrittore."
"..."
"No? Sì? Ma comunque fa lo stesso, lei o un altro... Un caffè?"

(Traduzione: Yasmina Melaouah)

Au bonheur des ogres
La voix féminine tombe du haut-parleur, légère et prometteuse comme un voile de mariée.
- Monsieur Malaussène est demandé au bureau des Réclamations. Une voix de brume, tout à fait comme si les photos de Hamilton se mettaient à parler. Pourtant, je perçois un léger sourire derrière le brouillard de Miss Hamilton. Pas tendre du tout, le sourire. Bon, j'y vais. J'arriverai peut-être la semaine prochaine. Nous sommes en 24 décembre, il est seize heures quinze, le Magasin est bourré. Une foule épaisse de clients écrasés de cadeaux obstrue les allées. Un glacier qui s'écoule imperceptiblement, dans une sombre nervosité. Sourires crispés, sueur luisante, injures sourdes, regards haineux, hurlements terrifiés des enfants happés par des pères Noël hydrophiles.
Il paradiso degli orchi
La voce femminile si diffonde dall'altoparlante, leggera e piena di promesse come un velo da sposa.
- Il signor Malaussène è desiderato all'Ufficio Reclami.
Una voce velata, come se le foto di Hamilton si mettessero a parlare. Eppure, colgo un leggero sorriso dietro la nebbia di Miss Hamilton. Niente affatto tenero, il sorriso. Bene, vado. Arriverò probabilmente la settimana prossima. È il 24 dicembre, sono le 16 e 15, il Grande Magazzino è strapieno. Una fitta folla di clienti gravati dai regali ostruisce i passaggi. Un ghiacciaio che cola impercettibilmente, in un cupo nervosismo. Sorrisi contratti, sudore lucente, ingiurie sorde, sguardi pieni d'odio, urla terrorizzate di bambini acciuffati da Babbi natale idrofili.

(Traduzione: Yasmina Melaouah)

La fée Carabine
C'était l'hiver sur Belleville et il y avait cinq personnages. Six, en comptant la plaque de verglas. Sept, même, avec le chien qui avait accompagné le Petit à la boulangerie. Un chien épileptique, sa langue pendait sur le côté.
La plaque de verglas ressemblait à une carte d'Afrique et recouvrait toute la surface du carrefour que la vieille dame avait entrepris de traverser. Oui, sur la plaque de verglas, il y avait une femme, très vieille, debout, chancelante. Elle glissait une charentaise devant l'autre avec une millimétrique prudence. Elle portait un cabas d'où dépassait un poireau de récupération, un vieux châle sur ses épaules et un appareil acoustique dans la saignée de son oreille.
La fata Carabina
Era inverno a Belleville e c'erano cinque personaggi. Sei, contando la lastra di ghiaccio. Sette, anzi, con il cane che aveva accompagnato il Piccolo dal panettiere. Un cane epilettico, con la lingua che gli penzolava da un lato.
La lastra di ghiaccio somigliava a una cartina dell'Africa e copriva l'intera superficie dell'incrocio che la vecchia signora si accingeva a traversare. Sì, sulla lastra di ghiaccio c'era una donna molto vecchia, in piedi, malferma sulle gambe, che trascinava con millimetrica prudenza una pantofola davanti all'altra. Reggeva una sporta da cui spuntava un porro d'occasione, portava un vecchio scialle sulle spalle e un apparecchio acustico nella piega dell'orecchio.

(Traduzione: Yasmina Melaouah)

La petite marchande de prose
C'est d'abord une phrase qui m'a traversé la tête: "La mort est un processus rectiligne." Le genre de déclaration à l'emporte-pièce qu'on s'attend plutôt à trouver en anglais: "Death is a straight on process"... quelque chose comme ça.
J'étais en train de me demander où j'avais lu ça quand le géant a fait irruption dans mon bureau. La porte n'avait pas encore claqué derrière lui qu'il était déjà penché sur moi:
- C'est vous, Malaussène?
La prosivendola
Prima c'è stata quella frase che mi ha attraversato la mente:
"La morte è un processo rettilineo." Il genere di dichiarazione poco sfumata che uno si aspetta piuttosto di trovare in inglese: "Death is a straight on process" ... o giù di lì.
Stavo giusto chiedendomi dove l'avessi letta quando il gigante ha fatto irruzione nell'ufficio. Prima ancora che la porta sbattesse alle sue spalle lui era già chino su di me.
- È lei Malaussène?

(Traduzione: Yasmina Melaouah)

Monsieur Malaussène
L'enfant était cloué à la porte comme un oiseau de malheur. Ses yeux pleine lune étaient ceux d'une chouette.
Eux, ils étaient sept, et montaient les escaliers quatre à quatre. Bien entendu, ils ignoraient que cette fois-ci on leur avait cloué un gosse sur la porte. Ils croyaient avoir tout vu et couraient donc vers la surprise. Deux paliers encore et un petit Jésus de six ou sept ans leur barrerait le passage. Un bébé-dieu cloué vif à une porte. Qui peut imaginer une chose pareille?
Signor Malaussène
Il bambino era inchiodato alla porta come un uccello del malaugurio. I suoi occhi plenilunio erano quelli di una civetta.
Loro erano sette e salivano le scale quattro a quattro. Naturalmente ignoravano che questa volta gli avevano inchiodato un moccioso alla porta. Pensavano di avere già visto tutto e quindi correvano verso la sorpresa. Ancora due piani e un piccolo Gesù di sei o sette anni avrebbe sbarrato loro la strada. Un bimbo-dio inchiodato vivo a una porta. Chi può immaginare una cosa simile?

(Traduzione: Yasmina Melaouah)

La passion selon Thérèse (La passione secondo Thérèse)
Bisognerebbe vivere a posteriori. Decidiamo tutto troppo presto. Non avrei mai dovuto invitare quel tizio a cena. Una resa affrettata, dalle conseguenze disastrose. È vero che la pressione era fortissima. Tutta la tribù si era accanita a convincermi, ognuno nel proprio registro, una potenza di fuoco spaventosa:
"Come sarebbe?" sbraitava Jérémy, "Thérèse è innamorata e tu non vuoi vedere il suo tipo?".
"Non ho mai detto questo."
Subentrava Louna:
"Thérèse trova un signore che si interessa a lei, fenomeno altrettanto improbabile di un tulipano su Marte, e a te non frega niente?".
"Non ho detto che non me ne frega niente."
"Nemmeno un briciolo di curiosità, Benjamin?"
Questa era Clara, la sua voce di velluto...

(Traduzione: Yasmina Melaouah)

Comme un roman (Come un romanzo)
Il verbo leggere non sopporta l'imperativo, avversione che condivide con alcuni altri verbi: il verbo "amare"... il verbo "sognare"...
Naturalmente si può sempre provare. Dai, forza: "Amami!" "Sogna!" "Leggi!" "Leggi! Ma insomma, leggi, diamine, ti ordino di leggere!"
"Sali in camera tua e leggi!"
Risultato?
Niente.
Si è addormentato sul libro. All'improvviso la finestra gli è apparsa aperta su qualcosa di desiderabile, e da lì è volato via, per sfuggire al libro. Ma è un sonno vigile, il libro è ancora aperto davanti a lui e se aprissimo la porta della sua camera, lo troveremmo seduto alla scrivania tutto preso dalla lettura.

(Traduzione: Yasmina Melaouah)

Le dictateur et le hamac (Ecco la storia)
Sarebbe la storia di un dittatore agorafobico. Poco importa il paese. Basta immaginare una di quelle repubbliche delle banane con il sottosuolo abbastanza ricco perché si desideri prendervi il potere e abbastanza aride in superficie per essere fertili di rivoluzioni. Mettiamo che la capitale si chiami Teresina, come la capitale del Piauì, in Brasile. Il Piauì è uno stato troppo povero per poter mai servire da cornice a una favola sul potere, ma Teresina è un nome accettabile per una capitale.
E Manuel Pereira da Ponte Martins sarebbe un nome plausibile per un dittatore.

(Traduzione: Yasmina Melaouah)

Merci (Grazie)
Siamo a teatro, noi in platea, lui sul palcoscenico.
Quando si alza il sipario lui è di schiena, in controluce, di fronte a un'altra sala dirimpetto a noi che lo applaude fragorosamente. Lo vediamo profilarsi come un'ombra cinese nell'alone abbagliante dei riflettori e ringraziare l'altra sala che lo acclama.
Grida:
- Grazie!
Indossa uno smoking.
Una lucina rossa lampeggia in alto sopra la sua testa.
Si sgola, per sovrastare l'entusiasmo del pubblico:
- Grazieee!
Con le due mani brandisce un trofeo agitandolo come uno shaker.
- Grazie!
Gli applausi raddoppiano.
Raddoppiano i ringraziamenti.

(Traduzione: Yasmina Melaouah)

Messieurs les enfants
L'imagination, ce n'est pas le mensonge.
Crastaing hurlait ça sans élever la voix.
- L'imagination, ce n'est pas le mensonge!
Son cartable vomissait nos copies sur son bureau.
- Vous le faites exprès?
Personne ne le faisait exprès. Il aurait fallu être cinglé pour le faire exprès.
- Combien de fois faudra-t-il vous le répéter?
Trente ans plus tard, il le répétait encore:
- L'imagination, ce n'est pas le mensonge!
Signori bambini
"Immaginazione non significa menzogna".
Crastaing lo urlava senza alzare la voce.
"Immaginazione non significa menzogna!"
La sua cartella vomitava i nostri compiti sulla cattedra.
"Lo fate apposta?"
Nessuno lo faceva apposta. Bisognava essere dementi per farlo apposta.
"Quante volte dovrò ripetervelo?"
Trent'anni dopo, lo ripeteva ancora:
"Immaginazione non significa menzogna!"

(Traduzione: Yasmina Melaouah)


Antonio Pennacchi (1950-2021)

Canale Mussolini
Per la fame. Siamo venuti giù per la fame. E perché se no? Se non era per la fame restavamo là. Quello era il paese nostro. Perché dovevamo venire qui? Lì eravamo sempre stati e lì stavano tutti i nostri parenti. Conoscevamo ogni ruga del posto e ogni pensiero dei vicini. Ogni pianta. Ogni canale. Chi ce lo faceva fare a venire fino qua?

Il delitto di Agora. Una nuvola rossa
Agora - con l'accento sulla prima a, per piacere; quella iniziale - è un paesaccio che sta sulla montagna.
A dire la verità, sulla guida dell'Ente provinciale del turismo è scritto: «Ridente paesino dei monti Lepini». Ma che cos'abbiano da ridere non s'è mai capito, né Agora né i monti Lepini. E se eventualmente comunque ridono, di sicuro è per non piangere.

Il fasciocomunista
a un certo punto mi sono stufato di stare in collegio. sono andato da padre cavalli e gliel’ho detto: “io non mi voglio più fare prete, voglio tornare nel mondo”.
“il mondo?”
“voglio andare a vedere come è fatto.”
lui non voleva crederci. ha insistito in ogni modo: “ma la tua m’era sembrata una vocazione profonda. ripensiamoci, magari è una crisi che ti passa. chiediamo consiglio al signore, aspettiamo”.
io niente. m’ero stufato e basta. e allora ha telefonato a mia madre – o meglio, ha telefonato alla signora elide che era l’unica ad avere il telefono al di qua della circonvallazione, che poi ha chiamato mamma- proponendo anche a lei di aspettare. ma quella – mamma, non la signora elide – gli ha risposto pure male, peggio di me: “se proprio deve tornare, ritorni e basta, non la stiamo a tirare lunga. sia lodato gesucristo”.
e così sono tornato.

Storia di Karel
Karel, con il libro in mano, s'affacciò alla finestra e vide stagliarsi, dall'altra parte della città, l'astronave del circo. Rilesse il brano - “Sicut bono est pars domus, ita domus est pars civitatis. Et ideo sicut bonum unius hominis non est ultimus finis, sed ordinatur ad bonum commune, ita etiam et bonum unius domus ordinatur ad bonum unius civitatis, quae est communitas perfecta, ut dicitur in I Politicae. Bonum proprium non potest esse sine bono communi” - e con un sospiro, riguardando fuori, chiuse il suo grande Tomaso d'Aquino.
Il circo si piazzava sempre dietro i portici dell'Intendenza, a modificare ogni volta l'immagine dei mondi da noi conosciuti. Dietro quei portici – quel colonnato altissimo, imponente, con ancora impressi i simboli del passato regime e dietro i quali si sarebbe dovuta espandere la Colonia, la gigantesca testa di ponte per il nuovo Balzo in Avanti – c'era per noi quotidianamente il nulla: solo lo spiazzo da cui spuntavano ogni tanto, frammisti a ciuffi d'erba, i ferri arrugginiti e il cemento dell'erigendo, tanti anni fa, mercato coperto. Poi più niente, eccetto la piana interminata dei deserti, con i cespugli rotolanti della salsola e le nubi della polvere – quando s'alzava il vento – a scacciare da quello spiazzo anche le bande di ragazzini che si affrontavano a mazzafionda dopo la scuola. La notte, i primi tempi – quando i soli calavano, ma prima che s'alzassero le lune, in quel breve ed unico intermezzo buio – tutta la Colonia si ritrovava in piazza in un non detto, padri e figli, in un appuntamento mai fissato; con gli occhi dritti a rimirare, dietro i pilastri del colonnato, i mondi lontani e qualche raro estraneo passaggio di navicelle spaziali: “Chissà dove andranno”.

La strada del mare
«Pace, Pace, che hai!?» aveva svegliato di soprassalto la moglie mio zio Benassi tutto agitato. Neanche l'alba o l'aurora ancora, ma buio pesto di là dalla finestra, con solo le luci del lampione di via Cellini che infilandosi tra le doghe consumate dell'avvolgibile di legno la illuminavano a bocca aperta – annaspante sul cuscino – ma senza riuscire a respirare. Boccheggiava quasi, tutta sudata la fronte, le guance, il collo. Sotto la coperta mia zia saltava e sussultava tremante, come lui quella volta – tanti anni prima – all'ultimo attacco di febbri malariche.
«Che hai Pace, che hai?» la implorava mio zio Benassi, mentre impaurito la strattonava forte per svegliarla.
«Aaargh...» ha fatto lei finalmente inspirando, e subito ricacciando l'aria dai polmoni: «M'agò inzognà un manto nero, Benassi. Un manto che m'involtoleva tuta e am fasea sofegar. Am parea propi da morir.» Ma ripresasi insieme all'aria i suoi spiriti, era immediatamente ripartita: «Cossa strattónito, orcocan? Stà fermo, baùco, con ste man».


Louise Penny (1958)

Glass Houses
"State your name, please."
"Armand Gamache."
"And you are the head of the Sûreté du Québec?"
"The Chief Superintendent, oui."
Gamache sat upright on the wooden chair. It was hot. Sweltering, really, on this July morning. He could taste perspiration from his upper lip and it was only just ten o'clock It was only just starting.
The vitness box was not his favorite place in the world. And far from his favorite thing to do. To testify against another human being. There were only a few times in his career when he'd gotten satisfaction, even pleasure, from that and this wasn't one of them.
Case di vetro
– Nome e cognome, prego.
– Armand Gamache.
– Di professione capo della Sûreté du Québec, giusto?
Oui. Commissario.
Gamache si raddrizzò sulla sedia di legno. Faceva caldo. Un caldo già afoso, per una mattinata di luglio. Sentiva un velo salato di sudore tra il naso e le labbra, ed erano appena le dieci. Soltanto l’inizio.
Il banco dei testimoni non era il suo posto preferito al mondo. E ciò che stava per fare non gli piaceva affatto. Testimoniare contro un altro essere umano. Nel corso della sua carriera, poche volte aveva ricavato soddisfazione, e tanto meno piacere, da un’esperienza simile. E quel giorno non sarebbe stato diverso.

(Traduzione: Letizia Sacchini)


Rupert Penny (Ernest Basil Charles Thornett) (1909-1970)

Sealed-Room Murder (L'assassino invisibile)
Mio zio è una vecchia volpe. Fa sempre ripetere ai clienti le loro storie, e spesso questa precauzione ha fatto emergere degli elementi vitali senza i quali non avremmo avuto il minimo successo. Il primo resoconto dei loro problemi viene esposto a lui, il secondo alla persona che delega a risolvere quei problemi. In seguito i due si consultano, passando in rassegna le reciproche informazioni alla ricerca di discrepanze, sviste o pure e semplici menzogne.
(Traduzione: Dario Pratesi)


Annibale Pepe (1947)

Ostaggio
"Hai una pistola puntata."
Federico girò la testa per vedere chi avesse pronunciato quelle quattro parole assurde. Contro il fianco sentiva premere un oggetto duro.


Samuel Pepys (1633-1703)

Diary (...)
January 1659-60
Blessed be God, at the end of the last year I was in very good health, without any sense of my old pain, but upon taking of cold.
I lived in Axe Yard, having my wife, and servant Jane, and no more in family than us three.
My wife . . . . gave me hopes of her being with child, but on the last day of the year . . . .
The condition of the State was thus; viz. the Rump, after being disturbed by my Lord Lambert, was lately returned to sit again. The officers of the Army all forced to yield. Lawson lies still in the river, and Monk is with his army in Scotland. Only my Lord Lambert is not yet come into the Parliament, nor is it expected that he will without being forced to it. The new Common Council of the City do speak very high; and had sent to Monk their sword-bearer, to acquaint him with their desires for a free and full Parliament, which is at present the desires, and the hopes, and expectation of all.


Georges Perec (1936-1982)

Un cabinet d'amateur (...)
Un cabinet d'amateur, du peintre américain d'origine allemande Heinrich Kürz, fut montré au public pour la première fois en 1913, à Pittsburgh, Pennsylvanie, dans le cadre de la série de manifestations culturelles organisée par la communauté allemande de la ville à l'occasion des vingt-cinq ans de règne de l'empereur Guillaume II. Pendant plusieurs mois, sous les triples auspices du quotidien Das Vaterland, de l'Amerikanische Kunst Gesellschaft, et de la chambre de commerce germano-américaine, ballets, concerts, défilés de mannequins, semaines commerciales et gastonomiques, foires industrielles, démonstrations gymniques, exposition artistiques, pièces de théâtre, opéras, opérettes, revues à grand spectacle, conférences, grands bals et banquests se succédèrent sans interruption,

Les choses (...)
L'œil, d'abord, glisserait sur la moquette grise d'un long corridor, haut et étroit. Les murs seraient des placards de bois clair, dont les ferrures de cuivre luiraient. Trois gravures, représentant l'une Thunderbird, vainqueur à Epsom, l'autre un navire à aubes, le Ville-de-Montereau, la troisième une locomotive de Stephenson, méneraient à une tenture de cuir, retenue par de gros anneaux de bois noir veiné, et qu'un simple geste suffirait à faire glisser. La moquette, alors, laisserait place à un parquet presque jaune, que trops tapis aux couleurs éteintes recouvriraient partiellement.

Le Condottière (Il Condottiero)
Madera era pesante. L'ho preso per le ascelle, ho disceso rinculando le scale che portavano al laboratorio. I piedi gli saltavano da un gradino all'altro, e i sobbalzi a scatti, che accompagnavano il ritmo irregolare della discesa, risuonavano seccamente sotto la volta stretta. Le nostre ombre danzavano sui muri. Il sangue colava ancora, vischioso, trasudava dall'asciugamano di spugna che se n'era impregnato, scivolava in colate rapide sui revers di seta, si perdeva nelle pieghe della giacca, fili appiccicosi, d'una brillantezza appena accennata, rallentati da ogni minima rugosità della stoffa, che di quando in quando stillavano sino al suolo, dove le gocce esplodevano in chiazze stellate.
(Traduzione: Ernesto Ferrero)

La disparition (...)
Trois cardinaux, un rabbin, un amiral franc-maçon, un trio d'insignifiants politicards soumis au bon plaisir d'un trust anglo-saxon, ont fait savoir à la population par radio, puis par placards, qu'on risquait la mort par inanition. On crut d'abord à un faux bruit. Il s'agissait, disait-on, d'intoxication. Mais l'opinion suivit. Chacun s'arma d'un fort gourdin. "Nous voulons du pain", criait la population, conspuant patrons, nantis, pouvoirs publics. Ça complotait, ça conspirait partout. Un flic n'osait plus sortir la nuit. À Mâcon, on attaqua un local administratif. À Rocamadour, on pilla un stock: on y trouva du thon, du lait, du chocolat par kilos, du maïs par quintaux, mais tout avait l'air pourri. À Nancy, on guillotina sur un rond-point vingt-six magistrats d'un coup, puis on brûla un journal du soir qu'on accusait d'acoir pris parti pour l'administration. Partout on prit d'assaut docks, hangars ou magasisns.

Experimental demonstration of the tomatotopic organization in the Soprano (Cantatrix sopranica L.)
As observed at the turn of the century by Marks & Spencer (1899), who first named the "yelling reaction" (YR), the striking effects of tomato throwing on Sopranoes have been extensively described. Although numerous behavioral (Zeeg & Puss, 1931; Roux & Combaluzier, 1932; Sinon et al., 1948), pathological (Hun & Deu, 1960), comparative (Karybb & Szÿlâ, 1973) and follow-up (Else & Vire, 1974) studies have permitted a valuable description of these typical responses, neuroanatomical, as well as neurophysiological data, are, in spite of their number, surprisingly confusing.
Dimostrazione sperimentale dell'organizzazione tomatotopica nella Soprano (Cantatrix sopranica L.)
Come messo in rilievo alla fine del secolo scorso da Marks & Spencer (1890), che coniarono per primi il termine "yelling reaction" (YR), i sensibili effetti del lancio di pomodori sulle soprano sono stati oggetto di ampie descrizioni. Ma benché numerosi studi comportamentali (Zeeg & Puss, 1931; Roux & Combaluzier, 1932; Sinon et al., 1948), patologici (Hun & Deu, 1960), comparativi (Karybb & Szÿlâ, 1973) e di "follow-up" (Else & Vire, 1974) abbiano reso possibile una preziosa descrizione di quelle tipiche reazioni, i dati neuroanatomici e neurofisiologici sono, per quanto copiosi, sorprendentemente confusi.

(Traduzione: Claude Béguin)

Un homme qui dort (...)
Dès que tu fermes les yeux, l'aventure du sommeil commence. À la pénombre connue de la chambre, volume obscur coupé par des détails, où ta mémoire identifie sans peine les chemins que tu as mille fois parcourus, les retraçant à partir du carré opaque de la fenêtre, ressuscitant le lavabo à partir d'un reflet, l'étagère à partir de l'ombre un peu plus claire d'un livre, précisant la masse plus noire des vêtements suspendus, succède, au bout d'un certain temps, un espace à deux dimensions, comme un tableau sans limites sûres qui ferait un très petit angle avec le plan de tes yeux, comme s'il reposait, pas tout à fait perpendiculairement, sur l'arête de ton nez, tableau qui, d'abord, peut te sembler uniformément gris, ou plutôt neutre, sans couleurs ni formes, mais qui, assez vite sans doute, se trouve posséder au moins deux propriétés:

Quel petit vélo à guidon chromé au fond de la cour?
C'etait un mec, il s'appelait Karamanlis, ou quelques chose comme ça: Karawo? Karawasch? Karacouvé? Enfin bref, Karatruc. En tout cas, un nom peu banal, un nom qui vous disait quelque chose qu'on n'oubliait pas facilement.
Ç'aurait pu être un abstrait arménien de l'École de Paris, un catcheur bulgare, une grosse légume de Macédoine, enfin un type de ces coins-là, un Balkanique, un Yoghourtophage, un Slavophile, un Turc.
Mais, pour l'heure, c'était bel et bien un militaire, deuxième classe dans un régiment du Train, à Vincennes, depuis quatorze ans.
Quale motorino con il manubrio cromato giù in fondo al cortile?
Era un tizio, si chiamava Karamanlis o qualcosa del genere: Karamanz? Karawak? Karacova? Insomma, Karacoso. Comunque sia, un nome per niente banale, un nome che vi diceva qualcosa, che non si dimenticava facilmente.
Avrebbe potuto essere un astrattista armeno dell'Ècole de Paris, un lottatore bulgaro, un pezzo grosso della Macedonia, insomma un tipo di quei posti là, un Balcanico, uno Yogurtofago, uno Slavofilo, un Turco.
Ma per il momento era né più né meno che un soldato, seconda classe in un reggimento Ferrovieri a Vincennes, da quattordici mesi.

(Traduzione: Emanuelle Caillat)

Les revenentes (...)
Hélène crèche chez Estelle, près de New Helmstedt Street, entre Regent's Street et le Belvédère. "Défense d'entrer", me jette le cerbère. Sept pence le dégèlent et j'entre, pépère.
Hélène est chez elle. Je prends le verre de schweppes q'elle me tend et me trempe les lèvres. Je desserre mes vêtements et m'évente.
- Qel temps!
- Trente-sept degrés!
- C'est l'été.
Hélène me tend des kleenex. Je me sèche les tempes, lentement.
- Prends le temps! Ne te presse!

La vie mode d'emploi
Dans l'escalier, 1

Oui, cela pourrait commencer ainsi, ici, comme ça, d'une manière un peu lourde et lente, dans cet endroit neutre qui est à tous et à personne, où le gens se croisent presque sans se voir, où la vie de l'immeuble se répercute, lointaine et régulière. De ce qui se passe derrière les lourdes portes des appartements, on ne perçoit le plus souvent que ces échos éclatés, ces bribes, ces débris, ces esquisses, ces amorces, ces incidents ou accidents qui se déroulent dans ce que l'on appelle les "parties communes", ces petits bruits feutrés que le tapis de laine rouge passé étouffe, ces embryons de vie communautaire qui s'arrêtent toujours aux paliers. Les habitants d'un même immeuble vivent à quelques centimètres les uns des autres, une simple cloison les sépare, ils se partagent les mêmes espaces répétés le long des étages, ils font les mêmes gestes en même temps, ouvrir le robinet, tirer la chasse d'eau, allumer la lumière, mettre le table, qualques dizaines d'existences simultanées qui se répètent d'étage en étage, et d'immeuble en immeuble, et de rue en rue.

La vita istruzioni per l'uso
Per le scale, 1

Sì, tutto potrebbe iniziare così, qui, in questo modo, una maniera un po' pesante e lenta, nel luogo neutro che appartiene a tutti e a nessuno, dove la gente s'incontra quasi senza vedersi, in cui la vita dell'edificio si ripercuote, lontana e regolare. Di quello che succede dietro le pesanti porte degli appartamenti, spesso se non sempre si avvertono solo quegli echi esplosi, quei brani, quei brandelli, quegli schizzi, quegli abbozzi, quegl'incidenti o accidenti che si svolgono in quelle che si chiamano le parti comuni, i piccoli rumori felpati che la passatoia di lana rossa attutisce, gli embrioni di vita comunitaria che sempre si fermano sul pianerottolo. Gli abitanti di uno stesso edificio vivono a pochi centimetri di distanza, separati da un semplice tramezzo, e condividono gli stessi spazi ripetuti di piano in piano, fanno gli stessi gesti nello stesso tempo, aprire il rubinetto, tirare la catena dello sciacquone, accendere la luce, preparare la tavola, qualche decina di esistenze simultanee che si ripetono da un piano all'altro, da un edificio all'altro, da una via all'altra.
(Traduzione: Dianella Selvatico Estense)

Le voyage d'hiver (...)
Dans la dernière semaine d'août 1939, tandis que les rumeurs de guerre envahissaient Paris, un jeune professeur de lettres, Vincent Degraël, fut invité a passer quelques jours dans une propriété des environs du Havre qui appartenait aux parents d'un de ses collègues, Denis Borrade. La veille de son départ, alors qu'il explorait la bibliothèque de ses hôtes à la recherche d'un de ces livres que l'on s'est promis depuis toujours de lire, mais que l'on n'aura généralement que le temps de feuilleter négligemment au coin d'un feu avant d'aller faire le quatrième au bridge, Degraël tomba sur un mince volume intitulé Le Voyage d'hiver, dont l'auteur, Hugo Vernier, lui était absolument inconnu, mais dont les premières pages lui firent une impression si forte qu'il prit a peine le temps de s'excuser auprès de son ami et de ses parents avant de monter le lire dans sa chambre.


Benito Pérez Galdós (1843-1920)

Misericordia (Misericordia)
Due facce, come talune persone, ha la parrocchia di San Sebastián... meglio sarà dire la chiesa..., due facce, senza dubbio graziose piuttosto che belle: con l'una guarda verso i quartieri bassi, infilandoli lungo la calle de Cañizares; con l'altra, la mercantile signorilità della Plaza del Angel. Avrete notato, su entrambi i volti, una bruttezza ridente, del più puro stile Madrid, in cui il carattere architettonico e quello morale si sposano mirabilmente. Sulla facciata sud troneggia, al disopra di una porta rozza, l'immagine barocca del santo martire, contorta in un atteggiamento piuttosto danzante che religioso; su quella a nord, disadorna, povera e volgare, si innalza il campanile, che sembra quasi mettersi le mani ai fianchi, per dire il fatto suo alla Plaza del Angel.
(Traduzione: David Urman)

Tristana (Tristana)
Nel popoloso quartiere di Chamberí, più vicino al Deposito dell'acqua che a Cuatro Caminos, non molto tempo fa viveva un gentiluomo di bell'aspetto e nome peregrino, che non risiedeva in un nobile palazzo, giacché da quelle parti mai ve ne furono, ma in un plebeo appartamento in affitto, di quelli a buon mercato, che subiscono il chiasso della vicina taverna, della trattoria e della bottega del lattaio, e che hanno un angusto cortile interno con le abitazioni numerate. La prima volta che feci la conoscenza con questo personaggio ed ebbi modo di osservare il suo piglio militaresco di stampo antico, quasi una reminiscenza pittorica dei vecchi tercios delle Fiandre, mi dissero che si chiamava don Lope de Sosa, nome che sa di polvere di palcoscenico o di romanza riportata dai volumetti di retorica; e, in effetti, veniva chiamato così da alcuni amici malevoli, ma lui rispondeva al nome di don Lope Garrido.
(Traduzione: Irina Bajini)


Arturo Pérez-Reverte (1951)

El Club Dumas (Il club Dumas)
Il lampo di luce proiettò la sagoma dell'impiccato sulla parete. Penzolava immobile da una lampada al centro del salone e man mano che il fotografo gli si muoveva attorno, facendo scattare l'otturatore, l'ombra provocata dal flash si delineava via via su quadri, vetrine piene di porcellane, scaffalature coperte di libri e tende aperte su grandi finestre, dietro le quali cadeva la pioggia.
Il giudice istruttore era giovane. Aveva pochi capelli, scompigliati e ancora umidi, come l'impermeabile che si era tenuto sulle spalle mentre dettava il rapporto al segretario seduto sul divano, con la macchina da scrivere portatile appoggiata su una sedia.

(Traduzione: Ilide Carmignani)

El Maestro de Esgrima (Il maestro di scherma)
Sul cristallo dei panciuti bicchieri da cognac baluginava il riflesso delle candele che ardevano su candelabri d'argento. Tra una boccata di fumo e l'altra, intento ad accendere un robusto sigaro di Vuelta Abajo, il ministro, senza darlo a vedere, studiava il suo interlocutore. Non aveva il minimo dubbio che quell'uomo fosse una canaglia; ma lo aveva visto arrivare davanti alla porta di Lhardy su un'impeccabile carrozza trainata da due superbe giumente inglesi, e sulla mano dalle dita sottili e ben curate che sfilavano la fascetta dell'avana brillava un prezioso solitario montato in oro. Tutto ciò, oltre alla sua elegante disinvoltura e alle dettagliate informazioni che aveva fatto raccogliere su di lui, lo collocava automaticamente nella categoria delle canaglie di classe.
(Traduzione: Paola Tommasinelli)

La Piel del Tambor (La pelle del tamburo)
Il pirata informatico si infiltrò nel sistema centrale del Vaticano undici minuti prima di mezzanotte. Trentacinque secondi dopo, uno dei computer collegati alla rete principale dette l'allarme. Solo una spia luminosa intermittente sullo schermo segnalava l'inserimento automatico del controllo di sicurezza in seguito ad un'intrusione esterna. Poi in un angolo del monitor comparvero le lettere HK, e il funzionario di guardia, un gesuita che stava immettendo i dati sull'ultimo censimento dello Stato Pontificio, afferrò la cornetta per avvisare il caposervizio.
"C'è un hacker." annunciò.

(Traduzione: Ilide Carmignani)

La Tabla de Flandes
Un sobre cerrado es un enigma que tiene otros enigma en su interior. Aquél era grande, abultado, de papel manila, con el sello del laboratorio impreso en el ángulo inferior izquierdo. Y antes de abrir la solapa, mientres lo sopesaba en la mano buscando al mismo tiempo una plegadera entre los pinceles y frascos de pintura y barniz, Julia estaba muy lejos de imaginar hasta qué punto ese gesto iba a cambiar su vida.
En realidad, conocía ya el contenido del sobre. O, como descubrió más tarde, creía conocerlo. Quizá por eso no sintió nada especial hasta que extrajo las copias fotográficas y las extendió sobre la mesa para mirarlas vagamente aturdida, reteniendo el aliento. Fue entonces cuando comprendió que La partida de ajedrez iba a ser algo más que simple rutina profesional. En su oficio menudeaban los hallazgos insospechados en cuadros, muebles o encuadernaciones de libros antiguos. Seis añs restaurando obras de arte incluían una larga experiencia en trazos y correcciones originales, retoques y repintes; incluso falsificaciones. Pero nunca, hasta aquel día, una inscripción oculta bajo la pintura de un cuadro: tres palabras desveladas por la fotografia con rayos X.
La tavola fiamminga
La busta è un enigma che racchiude altri enigmi. Quella era grande, gonfia, di carta di Manila, con il timbro del laboratorio impresso nell'angolo inferiore sinistro. E mentre la soppesava tra le mani, cercando contemporaneamente un tagliacarte tra pennelli e barattoli di colori e vernici, Julia era molto lontana dall'immaginare fino a che punto aprirla avrebbe cambiato la sua vita.
In realtà sapeva già cosa conteneva. O, come scoprì in seguito, pensava di saperlo. Forse per questo non provò niente di speciale finché non estrasse le fotografie e le stese sul tavolo per esaminarle, vagamente sconcertata, trattenendo il fiato. Solo allora capì che
La partita a scacchi sarebbe stata qualcosa in più di una semplice routine professionale. Il suo mestiere era costellato di scoperte inattese in quadri, mobili o rilegature di libri antichi. I sei anni passati a restaurare opere d'arte le avevano dato una lunga esperienza in schizzi e correzioni originali, ritocchi e restauri, e persino falsificazioni. Ma mai, fino a quel giorno, aveva rinvenuto un'iscrizione nascosta sotto gli strati di colore di un quadro: tre parole svelate dalle foto ai raggi X.
(Traduzione: Roberta Bovaia e Silvia Sichel)


Fabrizio Perna (1961)

Il riscatto di Paolo
Fattispecie a formazione progressiva, la gente non capisce e vuole tutto, non si deve permettere di rivolgersi a me in questo modo, inversione cronologica degli elementi della fattispecie, consenso precox rispetto all'esistenza del bene dedotto in contratto, atto, diritto, cazzo dritto, grandi labbra, pompino, sesso, soldi, libertà, Inghilterra, revolution, famiglia, morte, risoluzione, estinzione del processo, inattività delle parti, inattività, silenzio...
I suoi pensieri si affastellavano incontrollabili, era un avvocato inadeguato, un uomo inadeguato, non più in grado di andare avanti.


Emma Perodi (1850-1918)

Le novelle della nonna
Lo scettro del re Salomone e la corona della regina Saba
Tutte le campane di Poppi e della valle suonavano a festa in quella notte chiamando i fedeli alla messa di Natale, e pareva che a quell'invito rispondessero le campane di Soci, di Bibbiena, di Maggiona e di tutti i paesi e i castelli eretti sui monti brulli, che s'inalzavano fino all'Eremo di Camaldoli e al Picco della Verna, tanto era lo scampanìo che si udiva da ogni lato.
In una casa di Farneta, piccolo borgo sulla via di Camaldoli, la famiglia del contadino Marcucci era tutta riunita sotto l'ampia cappa del camino basso, che sporgeva fin quasi a metà della stanza. Il camino, nel quale crepitava un bel ceppo di faggio, era grande davvero, altrimenti non avrebbe potuto contener tanta gente, perché i Marcucci erano un subisso!


Charles Perrault (1628-1703)

La Barbe bleu
Il était une fois un homme qui avait de belles maisons à la Ville et à la Campagne, de la vaisselle d'or et d'argent, des meubles en broderie, et des carrosses tout dorés; mais par malheur cet homme avait la Barbe bleue: cela le rendait si laid et si terrible, qu'il n'était ni femme ni fille qui ne s'enfuît de devant lui. Une de ses Voisines, Dame de qualité, avait deux filles parfaitement belles. Il lui en demanda une en Mariage, et lui laissa le choix de celle qu'elle voudrait lui donner. Elles n'en voulaient point toutes deux, et se le renvoyaient l'une à l'autre, ne pouvant se résoudre à prendre un homme qui eût la barbe bleue.
Barbablù
C'era una volta un uomo che possedeva belle case sia in città che in campagna, vasellame d'oro e d'argento, mobili finemente tappezzati e carrozze tutte dorate ma, per sua sfortuna, quest'uomo aveva la barba blu, e ciò lo rendeva così brutto e spaventoso, che non c'era donna né fanciulla che non fuggisse al solo vederlo. Una sua vicina, gentildonna di nobili natali, aveva due figlie di assoluta bellezza. Lui ne chiese una in moglie e lasciò che la dama scegliesse chi dargli. Entrambe erano decisamente restie e continuavano a rimandarselo l'un l'altra, non potendo risolversi a prendere un marito che avesse la barba blu.

(Traduzione: Ida Porfido)

La belle au bois dormant
Il était une fois un Roi et une Reine, qui étaient si fâchés de n'avoir point d'enfants, si fâchés qu'on ne saurait dire. Ils allèrent à toutes les eaux du monde; voeux, pèlerinages, menues dévotions, tout fut mis en oeuvre, et rien n'y faisait. Enfin pourtant la Reine devint grosse, et accoucha d'une fille: on fit un beau Baptême; on donna pour Marraines à la petite Princesse toutes les Fées qu'on pût trouver dans le Pays (il s'en trouva sept), afin que chacune d'elles lui faisant un don, comme c'était la coutume des Fées en ce temps-là, la Princesse eût par ce moyen toutes les perfections imaginables.
La bella addormentata nel bosco
C'era una volta un re e una regina, che erano così addolorati per la mancanza di figli, ma così addolorati, che non ci sono parole per dirlo. Andarono a provare tutte le acque miracolose del mondo; voti, pellegrinaggi, devozioni speciali: tutto fu intrapreso e nulla faceva effetto. Eppure, alla fine, la regina rimase incinta e diede alla luce una bambina. Venne organizzato un bel battesimo; come madrine della principessina furone scelte tutte le fate che si riuscì a rintracciare nel paese (ne vennero trovate sette), affinché il dono che ognuna avrebbe fatto alla principessa, come si usava tra le fate a quel tempo, le conferisse ogni perfezione possibile e immaginabile.

(Traduzione: Ida Porfido)

Cendrillon ou la petite pantoufle de verre
Il était une fois un Gentilhomme qui épousa en secondes noces une femme, la plus hautaine et la plus fière qu'on eût jamais vue. Elle avait deux filles de son humeur, et qui lui ressemblaient en toutes choses. Le Mari avait de son côté une jeune fille, mais d'une douceur et d'une bonté sans exemple; elle tenait cela de sa Mère, qui était la meilleure personne du monde. Les noces ne furent pas plus tôt faites, que la Belle-mère fit éclater sa mauvaise humeur; elle ne put souffrir les bonnes qualités de cette jeune enfant, qui rendaient ses filles encore plus haïssables.
Cenerentola o la scarpetta di vetro
C'era una volta un gentiluomo che sposò in seconde nozze la donna più altezzosa e sprezzante che si fosse mai vista. Costei aveva due figlie del suo stesso carattere, che le somigliavano in tutto. Per parte sua il marito aveva una figlia, ma di una dolcezza e di una bontà senza pari; in questo aveva preso della madre, che era stata la persona migliore al mondo. Non si era ancora finito di celebrare le nozze che la matrigna già dava libero sfogo al suo caratteraccio; non poteva soffrire le belle qualità della fanciulla, che rendevano ancora più odiose le sue figlie.

(Traduzione: Ida Porfido)

Les Fées
Il était une fois une veuve qui avait deux filles; l'aînée lui ressemblait si fort et d'humeur et de visage, que qui la voyait voyait la mère. Elles étaient toutes deux si désagréables et si orgueilleuses qu'on ne pouvait vivre avec elles. La cadette, qui était le vrai portrait de son Père pour la douceur et pour l'honnêteté, était avec cela une des plus belles filles qu'on eût su voir. Comme on aime naturellement son semblable, cette mère était folle de sa fille aînée, et en même temps avait une aversion effroyable pour la cadette. Elle la faisait manger à la Cuisine et travailler sans cesse.
Le fate
C'era una volta una vedova che aveva due figlie. La maggiore era talmente simile a lei, nel carattere e nel viso, che a vederla sembrava di vedere la madre. Erano entrambe così indisponenti e superbe, che la vita con loro era impossibile. La minore, che era il ritratto del padre per dolcezza e per educazione, era invece una delle fanciulle più belle che si fossero mai viste. Giacché per natura ciascuno ama il proprio simile, la madre stravedeva per la figlia maggiore e, al tempo stesso, nutriva una tremenda avversione per la minore. La faceva mangiare in cucina e lavorare senza posa.

(Traduzione: Ida Porfido)

Le Maître Chat ou le Chat Botté
Un Meunier ne laissa pour tous biens à trois enfants qu'il avait, que son Moulin, son Âne, et son Chat. Les partages furent bientôt faits, ni le Notaire, ni le Procureur n'y furent point appelés. Ils auraient eu bientôt mangé tout le pauvre patrimoine. L'aîné eut le Moulin, le second eut l'Âne, et le plus jeune n'eut que le Chat. Ce dernier ne pouvait se consoler d'avoir un si pauvre lot: "Mes frères, disait-il, pourront gagner leur vie honnêtement en se mettant ensemble; pour moi, lorsque j'aurai mangé mon chat, et que je me serai fait un manchon de sa peau, il faudra que je meure de faim."
Mastro Gatto o il Gatto con gli stivali
Per tutta eredità un mugnaio lasciò ai suoi tre figli gli unici beni che possedeva: il mulino, l'asino e il gatto. La spartizione fu presto fatta e non vennero chiamati né il notaio né il procuratore. Costoro si sarebbero subito mangiati l'intero scarno patrimonio. Al figlio più grande toccò il mulino, al secondo l'asino e al più giovane non rimase che il gatto. L'ultimogenito non riusciva a darsi pace per aver ricevuto una parte così misera: "I miei fratelli", diceva, "potranno guadagnarsi la vita adeguatamente mettendosi insieme; a me, invece, quando avrò mangiato il gatto e mi sarò fatto un manicotto con la sua pelliccia, non resterà che morire di fame".

(Traduzione: Ida Porfido)

Le petit chaperon rouge
Il était une fois une petite fille de Village, la plus jolie qu'on eût su voir; sa Mère en était folle, et sa Mère-grand plus folle encore. Cette bonne femme lui fit faire un petit chaperon rouge, qui lui seyait si bien, que partout on l'appelait le Petit chaperon rouge.
Un jour sa Mère, ayant cuit et fait des galettes, lui dit: "Va voir comme se porte ta Mère-grand, car on m'a dit qu'elle était malade, porte-lui une galette et ce petit pot de beurre." Le Petit chaperon rouge partit aussitôt pour aller chez sa Mère-grand, qui demeurait dans un autre Village. En passant dans un bois elle rencontra compère le Loup, qui eut bien envie de la manger; mais il n'osa, à cause de quelques Bûcherons qui étaient dans la Forêt.
Cappuccetto rosso
C'era una volta in un villaggio una bambina, la più graziosa che si fosse mai vista; sua madre era pazza di lei e sua nonna lo era ancora di più. La buona vecchina le fece fare un piccolo cappuccio rosso e questo le stava così bene che tutti la chiamavano Cappuccetto rosso.
Un giorno sua madre, che aveva impastato e cotto delle focacce, le disse: "Va a vedere come sta la nonna, perché mi è stato detto che è malata, e portale una focaccia insieme a questo vasetto di burro". Cappuccetto rosso si mise subito in cammino per recarsi dalla nonna che abitava in un altro villaggio. Passando per un bosco incontrò compare Lupo, che ebbe una gran voglia di magiarla, ma non osò farlo per via di alcuni taglialegna che si trovavano nella foresta.

(Traduzione: Ida Porfido)

Le petit Poucet
Il était une fois un Bûcheron et une Bûcheronne qui avaient sept enfants tous Garçons. L'aîné n'avait que dix ans, et le plus jeune n'en avait que sept. On s'étonnera que le Bûcheron ait eu tant d'enfants en si peu de temps; mais c'est que sa femme allait vite en besogne, et n'en faisait pas moins que deux à la fois. Ils étaient fort pauvres, et leurs sept enfants les incommodaient beaucoup, parce qu'aucun d'eux ne pouvait encore gagner sa vie. Ce qui les chagrinait encore, c'est que le plus jeune était fort délicat et ne disait mot: prenant pour bêtise ce qui était une marque de la bonté de son esprit. Il était fort petit, et quand il vint au monde, il n'était guère plus gros que le pouce, ce qui fit que l'on l'appela le petit Poucet.
Pollicino
C'era una volta un taglialegna e sua moglie che avevano sette figli tutti maschi. Il più grande aveva solo dieci anni e il più piccolo appena sette. Potrà sorprendere che il taglialegna abbia avuto tanti figli in così poco tempo, il fatto è che sua moglie era sempre incinta e ne faceva almeno due per volta. Erano molto poveri e i figli accrescevano la loro miseria, perché nessuno di loro era ancora in grado di guadagnarsi da vivere. Ciò che contribuiva ad affliggerli era che il più giovane era molto delicato e non diceva una parola: loro scambiavano per stupidità quel che invece era chiaro segno d'ingegno. L'ultimogenito era molto piccolo, e quando venne al mondo non era più alto di un pollice, per cui fu chiamato Pollicino.

(Traduzione: Ida Porfido)

Riquet à la houppe
Il était une fois une Reine qui accoucha d'un fils, si laid et si mal fait, qu'on douta longtemps s'il avait forme humaine. Une Fée qui se trouva à sa naissance assura qu'il ne laisserait pas d'être aimable, parce qu'il aurait beaucoup d'esprit; elle ajouta même qu'il pourrait, en vertu du don qu'elle venait de lui faire, donner autant d'esprit qu'il en aurait à la personne qu'il aimerait le mieux. Tout cela consola un peu la pauvre Reine, qui était bien affligée d'avoir mis au monde un si vilain marmot.
Richetto dal ciuffo
C'era una volta una regina che diede alla luce un figlio, talmente brutto e deforme da far dubitare a lungo che avesse sembianze umane. Una fata che assistette alla sua nascita assicurò che non per questo sarebbe stato meno amabile, giacché avrebbe avuto un grande ingegno; aggiunse anche che, in virtù del dono che lei gli aveva fatto, sarebbe stato in grado di offrire altrettanto ingegno alla persona che più avrebbe amato. Tutto ciò consolò un po' la povera regina, molto addolorata d'aver messo al mondo uno sgorbietto tanto sgraziato.

(Traduzione: Ida Porfido)


Anne Perry (Juliet Marion Hulme) (1938-2023)

Brunswick Gardens
Pitt knocked on the assistant commissioner's door and waited. It must be sensitive, and urgent, or Cornwallis would not have sent for him by telephone. Since his promotion to command of the Bow Street station Pitt had not involved himself in cases personally unless they threatened to be embarrassing to someone of importance, or else politically dangerous, such as the murder in Ashworth Hall five months earlier, in October 1890.
Assassinio a Brunswick Gardens
Pitt bussò alla porta del vicecomandante e attese. La faccenda doveva essere delicata e urgente, altrimenti Cornwallis non l’avrebbe convocato con una telefonata. Da quando era stato promosso al comando della stazione di Bow Street, Pitt non aveva più seguito di persona le indagini, a meno che non rischiassero di mettere in imbarazzo qualche insigne personaggio o che presentassero delle insidie a livello politico, come l’omicidio di Ashworth Hall avvenuto cinque mesi prima, nell’ottobre 1890.

(Traduzione: Marco Bertoli)

Buckingham Palace Gardens
She was apparently found in the linen cupboard, poor creature," Narraway replied, his lean face dour, his eyes so dark they seemed black in the interior shadow of the hansom cab. Then, before Pitt could say anything further, he corrected himself. "One of the linen cupboards in Buckingham Palace. It was a particularly brutal murder."
The vehicle jerked forward, throwing Pitt back in the seat. "A prostitute?" he said incredulously.
Congiura a Buckingham Palace
— Pare che l’abbiano trovata nel ripostiglio della biancheria, povera creatura — rispose Narraway, il viso scarno corrucciato, gli occhi scuri quasi neri nella penombra dell’abitacolo. Quindi, prima che Pitt potesse aggiungere alcunché, si corresse: — Uno dei ripostigli della biancheria di Buckingham Palace. Un assassinio insolitamente efferato.
Pitt fu risospinto sul fondo del sedile da uno scossone della vettura. — Una prostituta? — domandò incredulo.

(Traduzione: Marco Bertoli)

Dark Assassin
Waterloo Bridge loomed in the distance as Monk settled himself a little more comfortably in the bow of the police boat patrolling the Thames for stolen cargoes, accidents, missing craft There were four men: himself as senior officer, and three to take the four oars. Rowing randan, it was called. Monk sat rigid in his uniform coat. It was January and bitterly cold. The wind ruffled the water and cut the skin like the edge of a knife, but he did not want anyone to see him shivering.
Il fiume mortale
Il ponte di Waterloo si profilava in lontananza mentre Monk si metteva un po’ più comodo sulla prua dell’imbarcazione della polizia intenta a pattugliare il Tamigi alla ricerca di carichi rubati, natanti smarriti o incidenti. Erano in quattro, lui in qualità di superiore e altri tre uomini incaricati di azionare i remi. La barca si chiamava
Triremi. Monk era seduto rigido nel cappotto dell’uniforme. Era gennaio e il freddo era pungente. Il vento increspava l’acqua e sferzava la pelle come la lama di un coltello, ma Monk non voleva che gli altri lo vedessero rabbrividire.
(Traduzione: Sara Brambilla)

Death on Blackheath
PITT STOOD shivering on the steps leading up from the areaway to the pavement and looked down at the clumps of blood and hair at his feet. There was blood on the shards of glass as well, and some of it had already congealed. Splinters lay on the steps below and above. The January wind whined across the open stretch towards the gravel pits in the distance.
'And the maid is missing?' Pitt asked quietly.
Morte a Blackheath
Pitt rabbrividì. In piedi sulla rampa di scale che portava dal seminterrato al marciapiede, guardava i grumi di sangue e capelli sparsi per terra. Sui gradini sopra e sotto di lui c’erano inoltre schegge e frammenti di vetro, e anche lì c’era del sangue, in alcuni punti già rappreso. Nel tratto che conduceva alla cava di ghiaia, poco più avanti, sibilava il vento di gennaio.
— E così non si trova più una domestica? — domandò a bassa voce.

(Traduzione: Marco Bertoli)

Execution Dock
The man balanced on the stem of the flat-bottomed lighter, his wild figure outlined against the glittering water of the Thames, hair whipped in the wind, face sharp, lips drawn back Then, at the last moment, when the other lighter was almost past him, he crouched and sprang. He only just reached the deck, scrambling to secure his footing. He swayed for a moment, then regained his balance and turned. He waved once in grotesque jubilation, then dropped to his knees out of sight behind the close-packed bales of wool.
Assassinio sul molo
L’uomo era in equilibrio sulla poppa della chiatta, mentre la sua sagoma stravolta si stagliava contro le acque scintillanti del Tamigi, i capelli sferzati dal vento, il viso affilato, le labbra contratte. Poi, all’ultimo momento, quando l’altra chiatta l’aveva quasi superato, si accucciò e saltò. Per un pelo riuscì a raggiungere il ponte, precipitandosi a garantirsi un punto d’appoggio. Barcollò per un attimo, poi ritrovò l’equilibrio e si voltò. Agitò grottescamente le mani in segno di giubilo, poi cadde in ginocchio nascondendosi dietro le balle di lana pigiate le une contro le altre.

(Traduzione: Sara Brambilla)

Midnight at Marble Arch
Pitt stood at the top of the stairs and looked across the glittering ballroom of the Spanish Embassy in the heart of London. The light from the chandeliers sparkled on necklaces, bracelets and earrings. Between the sombre black and white of the men, the women's gowns blossomed in every colour of the early summer: delicate pastels for the young, burning pinks and golds for those in the height of their beauty, and wines, mulberries and lavenders for the more advanced.
Mezzanotte a Marble Arch
Dalla sommità delle scale, Pitt ammirava la sfolgorante sala da ballo dell’ambasciata di Spagna, nel centro di Londra, con la luce dei lampadari che veniva rifratta da collane, braccialetti e orecchini. In mezzo al sobrio bianco e nero degli abiti maschili, i vestiti delle signore esibivano tutte le tinte della prima estate: delicati colori pastello per le giovani, rosa intensi e oro per le bellezze in pieno fiore, bordeaux, porpora e lavanda per quelle più in età.

(Traduzione: Marco Bertoli)


Sarah Perry (1979)

The Essex Serpent
A Young man walks down by the banks of the Blackwater under the full cold moon. He's been drinking the old year down to the dregs, until his eyes grew sore and his stomach turned, and he was tired of the bright lights and bustle. "I'll just go down to the water," he said, and kissed the nearest check: "I'll be back before the chimes." Now he looks cast to the turning tide, out to the estuary slow and dark, and the white gulls gleaming on the waves.
Il serpente dell'Essex
C'è un giovane. Cammina lungo la sponda del Blackwater, sotto la fredda luna piena. Ha salutato l'anno vecchio bevendo fino a ubriacarsi, fino a quando gli occhi non hanno cominciato a bruciargli e non gli si è rivoltato lo stomaco. Poi si è stancato delle luci forti e della confusione. «Vado giù al fiume» ha detto, stampando un bacio sulla guancia più vicina. «Sarò di ritorno prima del rintocco dell'orologio». Adesso volge lo sguardo a est, verso la marea che sta cambiando, verso i gabbiani bianchi che brillano sulle onde lente e scure dell'estuario.

(Traduzione: Chiara Brovelli)


Leo Perutz (1882-1957)

Nachts unter der steinernen Brücke (Di notte sotto il ponte di pietra)
In un giorno d'estate dell'anno 1598 due giovani nobili boemi se ne andavano a braccetto per le strade della Città Vecchia. Uno era Peter Zaruba von Zdar, studente di legge all'Università di Praga, spirito inquieto e intraprendente, che faceva piani su come sostenere i diritti della chiesa utraquista, o diminuire il potere sovrano dell'Imperatore e accrescere quello degli stati, e forse ottenere addirittura un re di stirpe boema e di fede riformata. In tali pensieri era immerso Peter Zaruba. L'altro, di qualche anno più anziano, si chiamava Georg Kaplir von Sulavice e aveva le sue proprietà nella zona di Beraun. Non s'interessava molto di politica e di questioni religiose, i suoi pensieri erano rivolti allo strutto, al pollame, al burro e alle uova che aveva portato all'ufficio dell'alto maggiordomo di corte per la cucina imperiale, e agli ebrei, cui attribuiva la colpa dei tempi brutti.
(Traduzione: Beatrice Talamo)

Sankt Petri-Schnee (La neve di San Pietro)
Quando la notte mi liberò, ero un'entità anonima, un essere impersonale, privo delle nozioni di "passato" e "futuro". Rimasi disteso, forse per molte ore, forse solo per una frazione di secondo, in una sorta di rigidità, la quale aveva poi lasciato il posto a uno stato che ora non sono più in grado di descrivere.
(Traduzione: Carlo Sandrelli)

Der schwedische Reiter (Il cavaliere svedese)
Maria Christine, nata von Tornefeld, vedova von Rantzau e coniugata in seconde nozze col regio consigliere di Stato e ambasciatore straordinario di Danimarca Reinhold Michael von Blohme, in gioventù una bellezza molto corteggiata, ha scritto verso la metà del secolo XVIII, ormai cinquantenne, le proprie memorie. Quest'operina, ch'ella intitolò "La mia vita, un affresco ricco di colori e di figure", fu data alle stampe solo qualche decennio dopo la sua morte. Fu uno dei suoi nipoti, all'inizio del secolo XIX, a renderla accessibile a una piccola cerchia di lettori.
(Traduzione: Elisabetta Dell'Anna Ciancia)

Zwischen neun und neun (Dalle nove alle nove)
La pizzicagnola della Wiesengasse, Frau Joanna Puchl, quella mattina verso le sette e mezzo si affacciò in strada dalla bottega. Non era una bella giornata. L'aria umida e fredda, il cielo coperto. Il tempo migliore per concedersi un goccetto. Ma la bottiglia di slivoviz di Frau Puchl, che si trovava nell'armadio, era quasi vuota, e la pizzicagnola decise di risparmiare per lo <> il poco che ne rimaneva, appena sufficiente a riempire un bicchierino.
(Traduzione: Marco Consolati)


Fernando António Nogueira Pessoa (1888-1935)

Faust
Ah, tudo é símbolo e analogia!
O vento que passa, a noite que esfria
São outra cousa que a noite e o vento -
Sombras de vida e de pensamento.

Tudo que vemos é outra cousa.
A maré vasta, a maré ansiosa,
É o eco de outra maré que está
Onde é real o mundo que há.

Tudo que temos é esquecimento.
A noite fria, o passar do vento
São sombras de mãos cujos gestos são
A illusão mãe desta ilusão.

Faust
Ah tutto è simbolo e analogia!
Il vento che passa, la notte che rinfresca
sono tutt'altro che la notte e il vento:
ombre di vita e di pensiero.

Tutto ciò che vediamo è qualcos'altro.
L'ampia marea, la marea ansiosa,
è l'eco di un'altra marea che sta
laddove è reale il mondo che esiste.

Tutto ciò che abbiamo è dimenticanza.
La notte fredda, il passare del vento
sono ombre di mani i cui gesti sono
l'illusione madre di questa illusione.

(Traduzione: Maria José de Lancastre)

Livro do desassossego por Bernardo Soares (Il libro dell'inquietudine di Bernardo Soares)
Esiste a Lisbona un piccolo numero di osterie o ristorantini ove, sopra una spaccio da dignitosa mescita di vini, si erge un mezzanino dall'aspetto rustico e casalingo, sul tipo dei ristoranti di certe cittadine dove la ferrovia non arriva. In quei mezzanini in cui, esclusa la domenica, gli avventori sono rari, è frequente incontrare tipi curiosi, poveri diavoli, visi senza interesse, gente che vive a margine della vita.
Il desiderio di tranquillità e i prezzi convenienti mi portarono in un certo periodo della mia vita ad essere cliente assiduo di uno di quei mezzanini. Capitava che, quando vi cenavo verso le sette, incontrassi quasi sempre un tale il cui aspetto, che dapprincipio mi era parso indifferente, cominciò a poco a poco a suscitare il mio interesse.

(Traduzione: Maria José de Lancastre e Antonio Tabucchi)


Ellis Peters (Edith Pargeter) (1913-1995)

The Confession of Brother Haluin
The worst of the winter came early, that year of 1142. After the prolonged autumn of mild, moist, elegiac days, December came in with heavy skies and dark, brief days that sagged upon the rooftrees and lay like oppressive hands upon the heart. In the scriptorium there was barely light enough at noon to form the letters, and the colors could not be used with any certainty, since the unrelenting and untimely dusk sapped all their brightness.
La confessione di fratello Haluin
La fase peggiore dell'inverno, in quel 1142, venne molto presto. Dopo un prolungato autunno di giornate umide e miti, dicembre cominciò con cieli oscurati da fitte nubi che s'incurvavano come una cappa sopra i tetti e opprimevano il cuore. Nello scrittoio, a mezzogiorno, v'era a malapena luce sufficiente per tracciare le lettere, ma non per usare con perizia i colori che, in quel crepuscolo incessante, perdevano ogni splendore.

(Traduzione: Elsa Pelitti)

The Devil's Novice
In the middle of September of that year of Our Lord, 1140, two lords of Shropshire manors, one north of the town of Shrewsbury, the other south, sent envoys to the abbey of Saint Peter and Saint Paul on the same day, desiring the entry of youngers sons of their houses to the Order.
One was accepted, the other rejected. For which different treatment there were weighty reasons.
Il novizio del diavolo
Verso la metà di settembre dell'anno del Signore 1140, i signori di due feudi dello Shropshire, rispettivamente a nord e a sud della città di Shrewsbury, inviarono, lo stesso giorno, i propri messi all'abbazia dei Santi Pietro e Paolo chiedendo che gli ultimogeniti delle proprie casate fossero ammessi all'Ordine.
L'uno fu accettato, l'altro no. La scelta fu dettata da motivi di una certa gravità.

(Traduzione: Monica Zardoni)

An Excellent Mystery
August came in, that summer of 1141, tawny as a lion and somnolent and purring as a hearthside cat. After the plenteous rains of the spring the weather had settled into angelic calm and sunlight for the feast of Saint Winifred, and preserved the same benign countenance throughout the corn harvest. Lammas came for once strict to its day, the wheatfields were already gleaned and white, ready for the flocks and herds that would be turned into them to make use of what aftermath the season brought.
Mistero doppio
In quell'estate del 1141, agosto venne fulvo come un leone, e ronfante e sonnolento come un gatto domestrico. Dopo le piogge copiose della primavera, il tempo si era messo al bello, regnava una calma paradisiaca, e il sole, splendente per la solennità di santa Winifred, era rimasto tale per tutta la durata della mietitura. Il Lammas - la festa delle messi che si celebrava il primo di agosto, quando, durante la funzione, si consacrava il pane fatto col primo raccolto - fu fedele alla tradizione: i campi, accuratamente spigolati, erano pronti per le greggi e per le mandrie che vi sarebbero andate a brucare quant'altro il prosieguo della stagione avrebbe prodotto.

(Traduzione: Elsa Pelitti)

The Leper of Saint Giles
Brother Cadfael set out from the gatehouse, that Monday afternoon of October, in the year 1139, darkly convinced that something ominous would have happened before he re-entered the great court, though he had no reason to suppose that he would be absent more than an hour or so. He was bound only to the hospital of Saint Giles, at the far end of the Monks' Foregate, barely half a mile from Shrewsbury abbey, and his errand was merely to replenish with oils, lotions and ointments the medicine cupboard of the hospital.
Due delitti per un monaco
Il pomeriggio di quel lunedì di ottobre del 1139, nell'allontanarsi dall'abbazia, fratello Cadfael aveva già il vago presentimento che qualcosa di funesto dovesse accadere prima del suo ritorno, benché, secondo ogni logica previsione, la sua assenza non avrebbe dovuto prolungarsi per più di un'ora. Infatti, usciva semplicemente per recarsi a Saint Giles, a non più di mezzo miglio dall'abbazia di Shrewsbury, per rifornire di oli, lozioni e pomate l'armadietto dei medicinali dell'ospedale.

(Traduzione: Elsa Pelitti)


Francesco Petrarca (1304-1374)

Canzoniere
Voi ch'ascoltate in rime sparse il suono
Di quei sospiri ond'io nudriva 'l core
In sul mio primo giovenile errore
Quand'era in parte altr'uom da quel ch'i' sono,
Del vario stile in ch'io piango et ragiono
Fra le vane speranze e 'l van dolore,
Ove sia chi per prova intenda amore,
Spero trovar pietà, nonché perdono.

Trionfi
Al tempo che rinnova i miei sospiri
per la dolce memoria di quel giorno
che fu principio a sì lunghi martiri,
già il Sole al Toro l'uno e l'altro corno
scaldava, e la fanciulla di Titone
correa gelata al suo usato soggiorno.
Amor, gli sdegni e 'l pianto e la stagione
ricondotto m'aveano al chiuso loco
ov'ogni fascio il cor lasso ripone.


Petronio Arbitro (?-66)

Satyricon
num alio genere furiarum declamatores inquietantur, qui clamant: "haec vulnera pro libertate publica excepi, hunc oculum pro vobis impendi; date mihi ducem qui me ducat ad liberos meos, nam succisi poplites membra non sustinent"? haec ipsa tolerabilia essent, si ad eloquentiam ituris viam facerent, nunc et rerum tumore et sententiarum vanissimo strepitu hoc tantum proficiunt, ut cum in forum venerint, putent se in alium orbem terrarum delatos.
Satyricon
È forse un altro tipo di Furie quello che tormenta i declamatori, quando gridano i loro proclami: "Queste ferite le ho assunte per la libertà dello Stato, quest'occhio per voi l'ho sacrificato; datemi una guida che mi conduca dai figli miei, perché i popliti, recisi, non reggono le membra"? Questi bei discorsi sarebbero in sé tollerabili, se almeno riuscissero a spianare agli allievi la via che porta all'eloquenza. Ora come ora, invece, tanto con l'enfasi dei temi che col baccano fraseologico assolutamente privo di significato, l'unico progresso che i ragazzi fanno è che, al loro ingresso in tribunale, si credono trasferiti di peso su un altro pianeta.

(Traduzione: Andrea Aragosti)


Luciana Peverelli (1902-1986)

Regina senza corona
Ella correva e la strana lettera zeppa di errori di ortografia stava nascosta nel corpetto. Dietro le sue spalle lasciava la tristezza della casa di pietre grigie e lo sguardo ironico del padre.
Tutto le era sconosciuto intorno, eppure, via via che avanzava, una dolce sicurezza nasceva in lei, come avesse già veduto quei luoghi. Aveva finalmente abbandonato le paludi fitte di giunchi, ed ora camminava in un prato sempre più fitto d'erica.

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