MOSÈ E MAOMETTO: DA NAPOLI A PARIGI
Cap. 5 I RIFACIMENTI E LA CRITICA Il giudizio di critici e biografi sui rifacimenti parigini di Rossini è stato pressoché univoco fino agli anni '70, quando la "riscoperta" della produzione seria del musicista pesarese, stimolata e concretizzata dall'edizione critica di tutte le opere promossa dal Centro Rossiniano di Studi, ha permesso la revisione di certe categorie critiche ormai cristallizzate insieme ad una più generale rivisitazione di tutta l'opera seria del Settecento e dei primi anni dell'Ottocento. La tesi dei maggiori biografi rossiniani era che i rifacimenti si inserivano naturalmente in un cammino evolutivo in ascesa, che lasciava via via dietro di sé quelle caratteristiche proprie dell'opera seria settecentesca (virtuosismo vocale, estrema libertà interpretativa concessa ai cantanti), viste univocamente come ingombranti ed inutili aggiunte delle quali Rossini era riuscito finalmente a liberarsi solo quando aveva cominciato a comporre fuori dall'Italia. Il limite di questa concezione critica, parzialmente condividibile se consideriamo il ben visibile sfoltimento apportato alle lussureggianti linee vocali napoletane (con i limiti derivanti dalla distanza fra la pagina scritta e quanto avveniva effettivamente sulla scena, anche all'Opéra), è soprattutto nel considerare una gerarchia di valori che pone necessariamente più in alto le opere francesi, viste non all'interno di un cammino musicale e culturale al quale Rossini diede un geniale e decisivo contributo in tutto l'arco della sua carriera, ma come una sorta di conclusione finalmente riuscita dopo molti tentativi imperfetti. L'autore della più completa biografia rossiniana, Giuseppe Radiciotti, scrive a proposito de Le siège de Corinthe: "Ad ogni modo, con quest'opera lo stile di Rossini fece un notevole passo verso la meta prefissa; tutti i ritocchi ed i cambiamenti apportati alla musica già composta, tutte le aggiunte fattevi attestano un grande progresso ed un nuovo orientamento. I ritocchi ed i mutamenti sono principalmente rivolti a sfrondare il canto dagli eccessivi ornamenti, a rifare qualche recitativo trasandato, a modificare qualche cadenza sovraccarica di melismi, a sopprimere lungaggini e motivi poco adatti al significato dei versi.".33L'insistita accentuazione in negativo del recitativo "trasandato", della cadenza "sovraccarica", degli "eccessivi" ornamenti, rende molto bene l'idea di un Rossini che, per così dire, ripulisce i logori e troppo colorati panni napoletani. Analoghe considerazioni troviamo per il Moïse et Pharaon: "I mutamenti subiti da quest'opera furono maggiori e più considerevoli di quelli a cui era stato sottoposto il Maometto II, non solo perché vi fu introdotta una maggior quantità di musica appositamente composta, ma anche perché, disposte in altra maniera le scene del libretto, dovette darsi un altr'ordine anche alla successione dei pezzi musicali, ed inoltre perché alcuni di questi (recitativi, arie, concertati) vennero ritoccati o trasformati... Ad ogni modo la ricomposizione del Mosè segna un altro e più notevole avanzamento verso la perfezione; la nuova musica, se pareggia l'antica per bellezza e copia d'idee melodiche, la supera per elevatezza di stile, per verità d'espressione, per novità di effetti armonici e strumentali, essa rivela un genio robusto e cosciente della sua forza. Ancora un passo e la meta sarà raggiunta."34Dove la concezione dell'evoluzione qualitativa è esplicitata dall'accenno al "notevole avanzamento verso la perfezione". In una piccola ma densa biografia posteriore di qualche anno alla summa del Radiciotti, Fedele d'Amico scrive, parlando delle opere serie scritte durante il periodo napoletano: "Delle altre, il Maometto II e il Mosè in Egitto acquisteranno una rigorosa fisionomia d'arte solo nei rifacimenti parigini (Le Siège de Corinthe e Moïse). In complesso si possono trovare in tutte queste opere sparsi frammenti di vario interesse (alcuni del Mosè in Egitto, già potentissimi); e via via col progredire dei tempi un'elaborazione sempre più accurata e consapevole. Ma son sempre esperienze, che aspettano ancora la sintesi."35Sintesi che sarà compiuta a Parigi: "...prima di scrivere un'opera nuova, pensò di rimaneggiarne due antiche, secondo i nuovi ideali, aggiungendo nuovi pezzi, togliendone altri e mutando quello che gli era ormai permesso da un pubblico molto meno abitudinario dell'italiano... Le Siège de Corinthe è il più serio tentativo rossiniano di assimilare Spontini, e in questo è la sua importanza: giacché l'opera, pur sparsa di notevolissime bellezze, non ha qualcosa, né un personaggio, né una situazione, né un'atmosfera su cui appuntarsi; e in complesso è mancata. Tutt'altro deve dirsi del Moïse, in cui non solo il protagonista è sbozzato con mirabile coerenza, ma tutto il colore del lavoro, pacato e grave (ci sono quattro bassi, e niente vocalizzi o quasi; quindi si ha un ritorno indietro alla Semiramide), è stampato, specie nelle scene d'insieme, con forza sicura. La revisione francese ha spazzato via tutti i convenzionalismi a freddo di quella italiana, ha arrotondato i passaggi, colto il clima del lavoro in pieno. Due cose sono soprattutto notevoli: la semplicità degli elementi costruttivi, che si reggono quasi tutti sulla forza interiore del ritmo e della melodia, senza bisogno di sviluppi e di vere complicazioni armoniche; a segno che fino i significati più profondamente corali e di massa sono ottenuti da un semplicissimo movimento, il più delle volte soltanto melodico (si pensi alla preghiera, la quale compie veramente il miracolo di aprire il mare). Questo significato è accentuato ancora dall'insufficienza drammatica del libretto, monotono, tutto invocazioni e preghiere; il che genera la vera manchevolezza del Moïse e gli conferisce un che di forzato e incompiuto."36Anche in questo caso si avverte chiaramente la maggiore considerazione verso i rifacimenti rispetto alle opere napoletane e, a proposito dei vocalizzi, è interessante leggere quello che lo stesso autore afferma quasi quarant'anni dopo: "Guardiamoci anzitutto dal luogo abbastanza comune secondo il quale Rossini, abbandonando l'Italia, avrebbe mutato il suo stile di canto, rinunciando ai cosiddetti 'virtuosismi' vocali così cari ai cantanti e al pubblico italiano, ossia, in parole povere, all'uso sistematico delle colorature. Ora, anzitutto l'uso della coloratura non era un 'virtuosismo', cioè una esibizione di acrobazie fini a se stesse, bensì un procedimento essenziale al concetto stesso del belcanto; in secondo luogo, è falso che Rossini, una volta arrivato in Francia, vi rinunciasse. È vero soltanto che ne fece un uso più moderato nel Mosè e anche nel Guglielmo Tell; non però nell'Assedio di Corinto né nel Conte Ory (che pure è posteriore al Mosè). Non si trattò dunque di una sorta di 'conversione', ma piuttosto di un adattamento alle esigenze espressive di due opere determinate, nelle quali oltre tutto (specie nel Tell) hanno grande importanza il coro e il recitativo."37Un altro famoso biografo rossiniano, Gino Roncaglia, è nettissimo nella condanna senza appello delle "forme gorgheggianti" che, in tutto il libro dedicato al compositore, vengono presentate come una fastidiosissima macchia del genio rossiniano, una macchia della quale Rossini non è mai riuscito a liberarsi completamente, nemmeno a Parigi. Analizzando il Maometto II, molto brevemente, Roncaglia scrive: "Basterà sciogliere la linea semplice asciutta e robusta del canto dal viluppo dei vocalismi, snellire e liberare la forma dalle vecchie abusate strettoie, perché ne sorga la creatura viva florida, tutta carne e sangue, dalla quale prenderà vita il teatro musicale della seconda metà dell'ottocento. Quest'opera di liberazione non potrà tuttavia compiersi in Italia, ove l'ambiente è troppo sordo ed ostile; si compirà in Francia, ove il Maometto II diventerà L'assedio di Corinto ... La parte migliore del Maometto II non è dunque che un grande abbozzo, ancora in gran parte informe, che attende la mano dell'artefice che ne levi le scorie, ne rifonda le parti imperfette (non una delle arie, dei duetti, delle scene rimarrà intatta nel rifacimento), e ne faccia risplendere le parti che inutili sovrapposizioni parassitarie rendevano opache. Meglio quindi sarà il rimandare lo studio di queste parti al momento in cui esamineremo l'opera rifatta e rinverdita ne L'assedio di Corinto."38I medesimi concetti sono ripresi nella parte dedicata al rifacimento: "Della vecchia opera furono conservate varie parti, ma tutte più o meno modificate, abbreviate, semplificate e rese più concise (forse non abbastanza), densificate e drammatizzate, rifatti alcuni recitativi, arricchito di colori più vivi lo strumentale. Anche il virtuosismo vocale è assai sfrondato, ma non soppresso. Nel 1° atto il terzetto: "Destin terribile", nel 2° la cabaletta: "Ma se alfin placato il nembo", vero pezzo di bravura, e qualche altro pezzo minore dimostrano che il musicista è ancora affezionato alle forme gorgheggianti, o non ritiene ancora giunto il momento di sopprimerle. Peccato, perché le idee melodiche erano belle. ... L'opera, insomma, appare meno equilibrata nei primi due atti, dove il senso critico dell'autore non sempre ha sorretto il suo lavoro di rifacimento e di semplificazione. Ma nel 3° atto, dove egli crea di nuovo, e dove quindi è più libero, e soprattutto per l'elevato sentimento religioso (anche il sentimento della patria è religione) che ha infiammato la sua ispirazione, L'assedio di Corinto acquista la nobiltà e la robustezza di un poema epico-religioso. E, opportunamente e accortamente sfrondato dal convenzionale e caduco che ancora il Maestro vi ha lasciato, verrebbe desiderio di vederlo rappresentato."39Diverso è l'approccio nei confronti del Mosè/Moïse; questa volta Roncaglia dedica più spazio all'originale rispetto al rifacimento e, pur considerando comunque superiore il Moïse, nell'analisi dell'opera parigina è costante il richiamo a quello che è considerato il capolavoro del periodo napoletano di Rossini: "Il Mosè in Egitto del 1818 era un'opera già altamente ispirata: il nuovo Mosè del 1827 è un capolavoro. ... A tutto ciò, quadri e scorci, scene e particolari, vanno aggiunte le stupende bellezze già esistenti nel primo Mosè, e segnatamente le pagine sacre, fra le quali resta sommerso anche quanto di mediocre e cioè di convenzionalmente operistico, passa qua e là nei contrasti amorosi di Amenofi e di Anaide. E fra le più alte pagine sacre ricordiamo l'invocazione di Mosè, la preghiera "Celeste man placata", il concertato "Mi manca la voce", e l'ultima e più spirituale preghiera: "Dal tuo stellato soglio". Non è più un melodramma nel senso comune della parola, ma un oratorio sceneggiato, un grande affresco musicale sacro."40Anche se: "In questa prima versione l'opera era in 3 atti, ed era ancora lontana dall'avere la compiutezza che il Maestro saprà poi darle nella seconda edizione parigina del 1827."41Del 1959 è il libro dedicato a Rossini da Riccardo Bacchelli, dove è invece messo in luce il valore dei due lavori napoletani e sminuita la "novità" delle opere parigine. Il Maometto II: "... che diventerà L'assedio di Corinto, ne ha già la robusta struttura e la forza tragica; a Napoli lasciò freddo il pubblico, quantunque la critica fosse più intelligente del solito e non gli opponesse i soliti Cimarosa e Paisiello; a Milano invece gli antepose con ingiuriosa sicumera il Winter; e a Venezia bisognò sconciarla con un lieto fine e il consueto pezzo di bravura. Così finiva in Italia la carriera del Maometto II, opera che non solo confermava lo sviluppo artistico di Rossini, ma lo progrediva d'assai."42Un giudizio ribadito nella parte riguardante Le siège, che: "... non aveva mutato sostanzialmente il Maometto II, parte snellito, parte accresciuto, tutto meglio sostanziato nella forma musicale."43Analoghe considerazioni sono riservate al Mosè in Egitto, al quale è dedicato molto spazio, tanto che la versione parigina è liquidata con poche parole: "La rielaborazione del Mosè aveva importato mutamenti maggiori che non quella del Maometto II, ma siccome quell'opera, a differenza di questa, s'era svelata nella sua grandezza e bellezza già agli italiani, se n'è parlato a suo tempo. Racconciata per i parigini e per l'Opéra, convien tornarvi specialmente per notare che le modifiche, le principali ed essenziali, chiariscono, ampliano, stagliano più potente e robusta quella progressione 'mosaica' ch'è la vita essenziale di questa opera-oratorio."44Del Mosè italiano Bacchelli esalta la potenza "biblica", esprimendo riserve nei confronti del versante amoroso della vicenda, considerato come quello in cui Rossini ha più indugiato "alle consuetudini operistiche": "... stilisticamente parlando, tutta questa parte amorosa è trattata in uno stile convenzionale, non per questo falso né sforzato, anzi dimesso in tale sua qualità di luogo comune del linguaggio operistico. È trattata, cotesta parte, come si suol dire, di maniera, nella maniera e nei limiti d'una retorica musicale e teatrale. E quanto vi si rileva con forza, riceve questa dalla situazione drammatica piuttosto che d'espressione musicale propria: a dire che Rossini ci abbia pensato volutamente, si oppone lo sfoggio di quella retorica musicale convenzionale, l'indulgenza, in più d'un luogo prolissa, alle consuetudini operistiche, l'intento evidente di propiziarsi l'uditore concedendo soddisfazioni, distensioni, riposi intermedi, nelle predilette gioie del bel canto di bravura. Ma troppo chiaramente e potentemente il suo intuito d'artista gli aveva fatto sentire l'opera tutta accentrata, illuminata, sbalzata nella figura di Mosè, per lasciargli trattare altrimenti da come ha fatto la parte amorosa, nel libretto ingombrante e troppo ampia."45Comunque: "Il Mosè, quanto a sostanza, è già tutto nella redazione napoletana: che cosa avesse significato comporlo, risulta dal seguente, insolito, riposo di un anno."46Le problematiche relative ai due rifacimenti sono in pratica ignorate da Francis Toye che, riguardo alle prime napoletane, si limita a dire: "Della musica che in seguito fu incorporata nel Mosè si parlerà più tardi, ma si può subito dire che essa rivela una sincerità e una dignità eccezionali tra le opere di Rossini."47E: "Dal momento che Rossini fece in seguito rappresentare a Parigi una versione dell'opera dal titolo Le siège de Corinthe, possiamo senz'altro rimandare ogni considerazione sulla musica."48Anche nell'analisi dedicata alle versioni francesi Toye evita riferimenti a differenze rispetto agli originali, tranne per due fuggevoli considerazioni. Parlando dei primi due atti de Le siège: "In tutt'e due gli atti i recitativi sono molto espressivi e su un piano ben differente dalla rigidezza convenzionale della Semiramide. Questi erano infatti i principali obiettivi della revisione di Rossini, oltre a una semplificazione della linea vocale, soprattutto notevole nella parte del tenore (che era Nourrit). Questa versione s'avvantaggiò non solo di tre o quattro bellissimi pezzi, ma del fatto che Rossini preferì togliere piuttosto che aggiungere."49Mentre per il Moïse, quasi non volesse prendere posizione, si limita ad un "è stato detto": "Generalmente però l'attenzione del pubblico è polarizzata sulla figura di Mosè e sugli ebrei; Mosè si presenta sereno, più che austero, portato ad una costante e convenzionale dignità alla Sarastro, ma molta della musica scritta per lui possiede un vero senso di grandiosità. È stato detto che proprio per il modo con cui questa figura è delineata, la nuova versione è assai migliore dell'originale."50Molto più approfondite sono le analisi dedicate alle due opere da Luigi Rognoni, che, pur sposando la tesi della maggiore compiutezza dei rifacimenti parigini, mette in luce la loro veste di progenitori del Guillaume Tell (e di ciò che avverrà successivamente nell'opera in musica) oltre a quella di tappe migliorative rispetto al passato. Nel corso dell'esame cronologico delle opere di Rossini, Rognoni cita brevemente le due composizioni napoletane, rimandandone l'analisi ai rispettivi rifacimenti. Per il Maometto II scrive: "Ma ritorna ben presto al teatro sollecitatovi da Barbaja e scrive una nuova opera (la sola dell'anno),che andrà in scena il 3 dicembre, ricavata da una tragedia di Voltaire51 e ridotta, questa volta, a libretto da un drammaturgo napoletano che gode fama negli ambienti letterari, Cesare della Valle, duca di Ventignano. Fu il Maometto II, scritto con molto impegno. L'opera cadde, ma sarà la prima che egli, giunto in Francia, riprenderà, dandole forma nuova e compiuta (Le siège de Corinthe), ed iniziando con essa la sua ultima 'maniera'."52Riguardo al Mosè in Egitto (ma è già Moïse): "Nei due mesi successivi nacque invece il Mosè in Egitto su libretto di Andrea Leone Tottola, 'azione tragico-sacra' che andò in scena al San Carlo il 5 marzo 1818 ed ottenne un grandissimo successo. Rossini aveva gettato, questa volta, le basi per un modello drammatico a sfondo corale; e la stesura definitiva, o meglio il rifacimento su libretto francese attuato a Parigi, nove anni più tardi, sarà un capolavoro; pur conservando inalterate molte pagine, il nuovo Mosè acquisterà una struttura scenico-musicale nuova rispetto all'edizione napoletana, e potrà affiancarsi al Guglielmo Tell, fors'anche superarlo nella possente ispirazione corale, come vedremo in seguito."53Nelle parti dedicate alle opere parigine Rognoni fa considerazioni praticamente univoche sull'itinerario seguito e sugli esiti dei due lavori. Parlando de Le siège insiste fra l'altro sull'"attualità patriottica" introdotta per la prima volta nel teatro d'opera: "Rossini non era certo musicista da subire pedissequamente influenze; ma è evidente che nella partitura del Maometto II l'esempio di Spontini e la necessità già sentita di un approfondimento drammatico delle forme strumentali dell'opera in rapporto a quelle vocali ebbero una parte decisiva. Così, giunto in Francia, Rossini pensò di riprendere in mano questa partitura e portarla a quella compiutezza che non aveva ancora potuto raggiungere nel 1820 per un teatro italiano. Il Maometto II divenne, nel rifacimento librettistico di Alexandre Soumet e Luigi Balocchi, Le siège de Corinthe (L'assedio di Corinto): la trama rimase, nel suo nocciolo, la medesima; solamente si pensò di spostare l'assedio da Negroponte (1470) a Corinto (1459) e di mutare gli assediati da Veneziani in Greci, per dare al soggetto un carattere d'attualità. In quegli anni infatti l'opinione pubblica era rivolta alla Grecia che lottava sin dal 1821 contro l'oppressore musulmano per la propria libertà. Così con L'assedio di Corinto, che rievocava la caduta della città greca, già in possesso dei veneziani, in mano del barbaro e crudele Maometto, Rossini introduceva per primo nel teatro d'opera l'"attualità" patriottica di cui Verdi diverrà poi l'araldo nel Risorgimento italiano. ... Rossini, utilizzando il materiale del Maometto II, sfrondò, per prima cosa, gran parte dei vocalizzi e scrisse inoltre la parte di Neocle sia per contralto sia per tenore,54in modo da poter essere cantata, all'occorrenza, da due voci differenti. ... Fra Semiramide e Le siège de Corinthe sono passati soltanto tre anni, ma lo stile rossiniano appare così mutato da essere talvolta irriconoscibile. A differenza delle precedenti trasfusioni, operate il più delle volte per mancanza di tempo o per scarsa disposizione verso i libretti impostigli dagli impresari, nella nuova partitura assai poco è rimasto del Maometto II. Eliminati molti pezzi, non v'è una sola pagina che non sia stata 'ripensata' e spesso radicalmente trasformata in funzione di una unità drammatica nella quale voci solistiche, corali e strumentali vengono poste sullo stesso piano: ne risulta una tessitura polifonica nella quale già si individua quel 'clima' della preghiera e della coralità che diverranno determinanti nella struttura e nei contenuti politico-sociali della prima opera verdiana."55Per il Moïse sottolinea la "perfetta fusione tra musica e azione scenica" sempre in relazione a ciò che avverrà dopo Rossini: "Se il vecchio Mosè, scritto su libretto del Tottola e prima del Maometto II, era pur ricco di geniali pagine, soltanto ora, nella nuova riduzione in quattro atti di Balocchi e Jouy, Rossini poté meglio comprendere il significato dei testi biblici e cogliere il sentimento religioso e mitico di un popolo in lotta per la propria libertà nel nome di un Dio unico ed indivisibile; e per la prima volta egli seppe elevare a protagonista assoluto non un solista, ma il coro, la massa del popolo d'Israele che sotto la guida di Mosè si avvia alla Terra promessa. ... Una perfetta fusione tra musica e azione scenica (ricca di prospettive polifoniche, di contrasti dinamici fra gruppi corali, di 'crescendi' sonori in corrispondenza ai 'crescendi' dell'azione scenica) richiede la rappresentazione del Moïse e forse s'affaccia qui, per la prima volta, l'idea della regia dell'opera lirica in senso moderno. Rossini era uomo di teatro ed elevando il coro a protagonista del suo dramma musicale intuì l'importanza del rapporto fra movimento scenico ed espressione musicale: l'insieme dell'opera non ha perciò il carattere dell'oratorio, come si è spesso affermato, poiché la scrittura corale rivela una prospettiva ed un ritmo che furono evidentemente pensati dal musicista in rapporto al movimento e alla visione scenica. Simile concezione della teatralità musicale risultava nuova e fu un passo decisivo."56Un capovolgimento della visione critica precedente è presente in un libro di Paolo Isotta sull'itinerario dal Mosè al Moïse, che riprende ed integra due lavori precedenti sullo stesso argomento e nel quale viene effettuato un excursus attraverso tutta l'opera seria di Rossini. Per Isotta non si pone il problema di stabilire una gerarchia di valori fra l'edizione napoletana e quella parigina (anche se nel libro traspare chiaramente la preferenza per la prima), l'intento è invece quello di individuare le peculiarità delle due versioni, inserendole in contesti estetico-musicali differenziati. Il Mosè in Egitto (e il Maometto II) all'interno dell'itinerario dell'opera seria italiana, concluso dalla Semiramide, considerata: "...l'ultima opera seria mai scritta, poiché nessun'altra dopo di essa incarna con tanta bellezza e lucidità gli ideali che guidarono un secolo di musica; fu l'ultimo atto d'una vicenda misteriosa frappostasi al regolare cammino del 'progresso' musicale, e capace di sconvolgerlo in un modo che nessuno avrebbe potuto prevedere. Quel mondo e quegli ideali che in Semiramide sono celebrati per l'ultima volta non avrebbero potuto aspirare a più bel monumento di questo, ch'è insieme pietra tombale ed arco di trionfo, epinicio ed epicedio."57Il Moïse et Pharaon (e Le siège de Corinthe) viste invece come "prove generali" del Guillaume Tell, l'opera che segnerà la conclusione della carriera di Rossini e dalla quale trarrà alimento l'itinerario musicale dell'opera dell'Ottocento: "L'importanza della revisione 1827 del Mosè in Egitto è stata sopravvalutata: tutti sanno o dovrebbero sapere ch'era quasi un obbligo del compositore verso la nuova piazza rimodernare un'opera che vi venisse presentata già battezzata altrove. Non v'è opera del Settecento che sia stata data allo stesso modo in due città diverse, quand'anche il passaggio fosse dall'autunno alla primavera e da Ravenna a Lugo: e finché Rossini ha continuato a scrivere opere le cose sono rimaste esattamente allo stesso punto, col destino di rimanervi ancora per un po'. Anche se è molto indicativo su una quantità di cose ed è una spia d'incalcolabile valore per le intenzioni e le ambizioni parigine di Rossini, il Moïse et Pharaon si deve considerare niente di più d'un rimodernamento per le esigenze della piazza (questo dal punto di vista del rapporto materiale far le due opere, cioè del numero di pezzi cambiati o spostati da una versione all'altra); si trattò d'un rimodernamento motivato da considerazioni poetiche e non dalla necessità d'andare incontro alle esigenze dei cantanti o dell'orchestra. Questi due punti rendono il rimodernamento rappresentato da Moïse et Pharaon un'indubbia eccezione rispetto a quel baraccone di vestiti rivoltati che si praticava di solito; rendono il fenomeno più ampio e più eccezionale, ma non ne cambiano la sostanza. Il punto non è qui: è nel significato e nelle intenzioni di ciascuna versione, senza che l'una possa essere considerata miglioramento dell'altra, giacché significato e intenzioni sono, appunto, differentissimi. ... Il suo obiettivo era, naturalmente, Guillaume Tell: ossia la prima opera scritta espressamente per Parigi, in ossequio al suo contratto. Ma come i pittori dipingono i cartoni prima di passare al quadro vero e proprio, così Rossini volle preparare due cartoni del Tell. Due cartoni che servivano a saggiare se stesso (il suo aplomb nello scrivere per quella città banchiera e mercantile), e a saggiar l'umore dei suoi difficili committenti...Ambedue, e specialmente Le Siège, aggiungono molte bellezze alle opere da cui derivano; ambedue, e specialmente Moïse, vi rimangono attaccatissime, mantenendone tutti i pezzi veramente di rilievo: eppure queste due opere hanno più rapporti con il Tell di quanti non ne abbiano con le loro matrici. È un'affermazione paradossale, ma innegabile, e basterebbe a toglier loro il valore di 'versione definitiva' dell'opera napoletana che vi si vuol vedere: più che tale, van considerate due versioni provvisorie di Guillaume Tell."58Un breve ma illuminante commento sulle differenze più appariscenti fra le due versioni si trova nelle parole di Gossett, che individua nel "taglio degli estremi" (vocali e strutturali) la caratteristica più evidente dei rifacimenti: "The differences between the Neapolitan originals and Parisian revisions result from a dialectical process internal to the Neapolitan works. In the latter, extremely florid solo vocal lines, emphasizing the virtuoso and generic, co-exist with far-reaching experiments in musical structure, which seek to give musical expression to particular dramatic situations. In the Paris revisions both extremes are planed down, resulting in a more consistent, if less audacios, dramatic continuum, and a reduced gulf between declamatory lines and florid passages."59Visto che una "prova generale" solitamente rifugge da audacie strutturali, la considerazione si pone agevolmente all'interno della tesi di Isotta. Concludiamo questo breve itinerario critico con due citazioni tratte da saggi non dedicati a Rossini, ma utili per sintetizzare il rapporto fra il musicista pesarese e la Francia. La prima è di Fedele d'Amico, che, a proposito della Manon di Massenet, scrive: "...la Manon fu...uno dei culmini di quel processo che aveva portato alla nascita e al trionfo praticamente completo di quel tipo d'opera che oggi chiamiamo, retrospettivamente, 'opéra-lyrique': sintesi nuova che liquida così il grand opéra come l'opéra-comique tradizionale, da cui deriva e di cui porta il nome. Alla radice di questa sintesi è una nuova consapevolezza dei poteri musicali della lingua francese. Il grand opéra aveva falsificato il francese facendone una lingua fortemente accentuata anzi che nuancée; al che non dovette essere estraneo il fatto che i suoi autori più eminenti (Spontini, Rossini, Meyerbeer) furono stranieri al pari di quel Lully che aveva fondato l'opera francese alla fine del Seicento e di quel Gluck che l'aveva riformata un secolo dopo. Sì che la sensibilità più schietta della lingua francese in musica era rimasta al genere minore dell'opéra-comique, ove la melodia erano soltanto ariette e canzoni. Mentre il francese del grand opéra pareva una traduzione dall'italiano."60La seconda è di Martin Cooper; avrei voluto scrivere quasi esattamente queste parole come conclusione, ma, visto che sono già state scritte, le posso solo citare: "Egli (Gluck) pose termine alla disputa tra i sostenitori della musica francese e quelli della musica italiana, riunendo le qualità essenziali di ambedue le scuole e componendo musica italiana in forme francesi."61 Frontespizio
Cap. 4 - Mosè in Egitto / Moïse e Pharaon
Cap. 5 - I rifacimenti e la critica
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